Aquile nere
Da
qualche anno imperversano in Colombia, un paese già martoriato dalla povertà di
ampi strati della popolazione e da una guerra civile di lunga durata. Si fanno
chiamare “Aquile nere”, le nuove organizzazioni criminali dedite a ogni forma
di delinquenza, considerate – a ragione –
le degne eredi delle famigerate AUC (Autodefensas Unidas de Colombia), i
corpi paramilitari di estrema destra di recente smantellati in seguito all’entrata
in vigore della legge “Justicia y paz”.
Le
AN sono comparse per la prima volta nel dipartimento Norte de Santander, nel
nordest colombiano, al confine con il Venezuela. Da lì altri gruppi criminali,
sempre sotto il nome di “Aquile nere”, hanno cominciato ad espandere le loro
attività in vari municipi concentrandosi nelle zone di Santander, Cesar,
Caquetà e Antioquia, tanto da indurre il presidente colombiano Uribe – sul cui
governo continuano a piovere accuse di combutta con le vecchie AUC per attività
di “guerra sporca” e di narcotraffico – a ordinare al suo esercito la creazione
di un “Nucleo speciale di ricerca” per snidare i membri di queste pericolose
bande armate.
Col
tempo le AN hanno stretto legami con i potenti cartelli della droga (come già era
accaduto per le AUC) e sono coinvolte in attività illecite come estorsioni,
rapine, sequestri di persona e atti terroristici contro le popolazioni. Peraltro,
in perfetta continuità con le vecchie AUC, le AN svolgono oggi la loro medesima
funzione politica attaccando membri delle FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias
de Colombia, la guerriglia di ispirazione bolivariana e guevarista) e provvedendo
all’eliminazione fisica – sovente dietro commissione – di sindacalisti,
attivisti politici e dei diritti umani, e di altri individui “scomodi”
appartenenti ai movimenti civili. La loro attività più redditizia resta il
narcotraffico, grazie al quale si finanziano e si armano e che li spinge, in
casi sporadici, persino a scendere a patti scellerati con i loro nemici
ideologici, i guerriglieri delle FARC, per spartirsi i lauti guadagni del
commercio della droga.
A
gonfiare i sempre più folti ranghi di queste bande criminali sono sia gli ex paras delle AUC (quelli che non hanno
aderito alla smobilitazione, ma anche molti “smobilitati” tornati a
delinquere), sia malviventi “comuni” senza alcuna relazione con i vecchi
paramilitari, ma particolarmente vogliosi di entrare nel business del
narcotraffico. Secondo un rapporto della Polizia Colombiana, tra il 2006 e il
2007 sono stati catturati ben 1.765 membri di bande armate criminali (Bacrim),
dei quali 258 erano paramilitari “smobilitati”.
Uno
degli individui sospettati di comandare le AN è l’ex paras Vicente Castaño (meglio conosciuto con il nome di “El Profe”
e cofondatore delle AUC), il quale scomparve in seguito alla smobilitazione dei
paramilitari e subito dopo essere stato accusato dell’assassinio del fratello
Carlos, il capo storico delle AUC freddato ad Antioquia per ordine degli altri jefes reclusi nel carcere di massima
sicurezza di Itagüí. Ma in realtà i sospetti arrivano ben più in alto, fino a
lambire i palazzi della politica. Se il presidente colombiano Alvaro Uribe nega
l’esistenza di legami tra le istituzioni e le decine di organizzazioni armate
facenti capo alle nuove AN, la magistratura – di contro – continua a svolgere
spinose indagini sulla presunta alleanza di un settore del governo con i capi dei
narco-paramilitari. Molti di loro, come Salvatore Mancuso (di chiare origini
italiane), don Berna e Jorge 40, sono già stati estradati negli Stati Uniti per
reati legati al narcotraffico, ma potrebbero decidere da un momento all’altro di
“vuotare il sacco” rivelando molte verità compromettenti sul conto di Uribe e
dei suoi uomini di partito, per far scontare al presidente colombiano il fatto
di non aver mantenuto le sue promesse di impunità secondo i dettami della legge
di amnistia “Justicia y paz”.
Per
allontanare e far dimenticare all’opinione pubblica i sospetti che lo
riguardano, il mandatario colombiano si affida ai media nazionali (tutti – o
quasi – subordinati al suo governo), i quali “sebbene non possano nascondere la
portata degli scandali in atto, continuano ad avvalorare una presunta
popolarità di Uribe ottenendo, grazie alla tecnica Goebbels (“ripetete una
bugia, cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”), che sia
presa per buona anche internazionalmente. Dimenticando che le elezioni di Uribe
sono state non soltanto illegittime (per l’asseverata compra di voti che hanno reso possibile la riforma costituzionale
che ha permesso la rieleggibilità presidenziale), ma anche ottenute con il
contributo decisivo dei vari blocchi paramilitari, all’origine dello stesso
scandalo della cosiddetta para-politica”. *
Mentre le istituzioni colombiane affondano
sommerse dagli scandali, le Aquile nere sono tornate prepotentemente alla
ribalta, ora anche sulla scena internazionale. Qualche mese fa, i loro capi si
sono fatti sentire inviando lettere minatorie ad Ong di vari Paesi (tra cui
l’Italia) con sede in Colombia, a sindacati dei lavoratori e a movimenti
studenteschi nazionali ed internazionali che da anni si battono per la difesa
dei diritti civili del popolo colombiano. Nel testo, pieno di insulti
all’indirizzo delle FARC e dei suoi “fiancheggiatori”, si legge che tutte
queste organizzazioni e i loro aderenti sono dichiarati dalle Aquile nere
“obbiettivi militari”, e pertanto passibili di eliminazione. E di solito, purtroppo,
alle minacce dei paramilitari fa regolarmente seguito l'esecuzione delle stesse.
Andrea Necciai
Note
* “La nazione dei veleni” di Guido
Piccoli – Latinoamerica n°104 (3/2008).
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