“Fuera Lucio, fuera todos!”.
La
rivolta popolare dei “forajidos” (gli autoproclamatisi “fuorilegge”)
ecuadoriani, scesi in massa pacificamente nelle strade e nelle piazze delle
maggiori città, ha prodotto nel paese andino un vero e proprio terremoto istituzionale.
Dopo Bucaram e Mahuad, i precedenti governanti dell’Ecuador già caduti sotto il
peso delle proteste popolari, il mese scorso è arrivata l’ora di Lucio
Gutierrez.
Il
“Coronel” era entrato in carica nel gennaio 2003, con il favore di gran parte
dell’elettorato e grazie anche all’appoggio dell’influente confederazione indio
Conaie. Malgrado le promesse sbandierate in campagna elettorale - che parlavano
soprattutto di riforme sociali per le classi più deboli -, il mandato
dell’ultimo presidente è stato caratterizzato da misure economiche “di rigore”,
tutte finalizzate a ripianare (o meglio rintuzzare) il debito con il Fondo
Monetario Internazionale, mentre nulla di rilevante è stato fatto in materia di
sviluppo e di assistenza sociale. E pensare che i fondi per finanziare questo
tipo di interventi pubblici potevano essere facilmente reperiti.
In
uno scenario di crisi petrolifera internazionale l’Ecuador, che possiede
numerosi giacimenti, potrebbe opportunamente “approfittare” per incamerare
risorse finanziarie da destinare ai programmi sociali, come succede - ad
esempio - nel vicino Venezuela bolivariano. Ma Gutierrez, si sa, non è Hugo
Chavez, e quest’enorme flusso di denaro “finisce disperso nei mille rivoli
della corruzione, oppure direttamente nelle casse del Fmi.” *
Con
l’andar del tempo le scelte neoliberiste adottate da Gutierrez, come la
contestata “dollarizzazione” dell’economia o l’adesione al Trattato di Libero
Commercio imposto dagli Usa, hanno provocato il ritiro delle forze di sinistra
dall’esecutivo (e la conseguente crisi di governo del 2004) oltreché un diffuso
malcontento popolare.
Ma
la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso della pazienza degli
ecuadoriani, già vessati da decenni di malgoverno e corruzione, è stata la
riforma dell’apparato giudiziario. Quando il governo Gutierrez ha avviato la
procedura per la sostituzione della Corte Suprema di Giustizia - indispensabile
per far approvare la cancellazione dei processi di corruzione a carico di
Bucaram e Mahuad, entrambi fuggiti all’estero - la misura era ormai colma. E
così sin dall’inizio di aprile la gente, spesso radunata in comitati spontanei,
ha cominciato ad affollare le grandi città, sfilando in cortei coloratissimi e
chiedendo a gran voce le dimissioni del governo.
Nel
caso dei “forajidos” ecuadoriani, quella che possiamo senz’altro definire una
rivolta “non-violenta” non è stata capeggiata da veri e propri leader o
capipopolo; ciò ha fatto temere a molti che “la protesta potesse spegnersi con
la stessa velocità con cui è nata”. Un ruolo fondamentale va comunque
attribuito a Paco Velasco, direttore di Radio La Luna, che è ha dato spazio a
tutte le espressioni della rivolta nella sua particolarissima “arena
radiofonica”. E’ dalla radio quitena che si diffondono gli appelli alle
colorate manifestazioni della settimana dal 13 al 20 aprile, ed è sempre la
voce di Velasco a raccontare in diretta, 24 ore su 24, tutti i focolai del
“levantamiento”.
Il
16 aprile Gutierrez dichiara lo stato d’emergenza e la sospensione dei diritti
civili, nel vano tentativo di arginare la protesta che intanto dilaga fino a
degenerare nello scontro tra manifestanti e polizia davanti alla residenza
presidenziale. Il bilancio della tumultuosa nottata del 19 aprile parla di un
morto e di ben 182 feriti ricoverati in ospedale per sintomi da asfissia. Ma
sarà l’unico sussulto di violenza di una rivolta “civile” e senza armi.
Finalmente,
alle 13 del pomeriggio del 20 aprile, i capi della polizia e dell’esercito
tolgono ogni sostegno a Gutierrez. Il ritiro dei militari è il segnale
dell’imminente caduta del “Coronel”. Poi, verso sera un urlo fa tremare le
piazze ricolme di persone: “Lucio è fuggito, Lucio non è più presidente!”, e la
folla impazzita si lascia finalmente andare a scene di giubilo incontenibili.
Ma
la gioia dura soltanto poche ore. Dopo la precipitosa fuga in elicottero di
Gutierrez (che pare abbia ottenuto asilo politico dal Brasile), la poltrona
vacante è stata immediatamente occupata dall’ex vicepresidente Alfredo Palacio,
il quale sembra ora ben deciso a non mollarla al pari dei 60 deputati rimasti
in Parlamento, “quello stesso parlamento corrotto che ha appoggiato le
malefatte di Gutierrez e ora reagisce con un colpevole attivismo”…*
In
molti ecuadoriani rimane il sospetto che il cambio della guardia
Gutierrez-Palacio si sia consumato all’insegna del gattopardismo più subdolo, del “cambiare tutto per non cambiare
nulla”. “A poche ore dall’insediamento del nuovo direttivo - racconta Francisco Herrera Arauz, giornalista del
periodico “Ecuador Inmediato”, - nella Sala Gialla sono comparsi di
fronte a Palacio i suoi “nuovi” collaboratori, tutte figure “conosciutissime”
dei governi precedenti; costoro hanno fatto parte delle squadre di governo
negli ultimi 25 anni di democrazia ecuadoriana, e sono dunque in larga parte
responsabili dello sfacelo di questo Stato. Tutti quanti loro senza eccezioni.”
**
Per
prima cosa, i componenti del nuovo esecutivo si sono affrettati a disconoscere
le ragioni che hanno spinto la gente - e non poca - a reclamare il ritiro del
colonnello Gutierrez. Il neo cancelliere Gil ha subito voluto rassicurare i
mercati e la Casa Bianca, dichiarando con piglio severo: “il nuovo governo garantisce gli accordi
internazionali, e specialmente quelli riguardanti la base militare statunitense
di Manta”. Eppure, il messaggio lanciato
nei giorni della protesta dai “forajidos” esasperati era parso a tutti
evidente: “Signor Presidente, Signori Ministri, la cittadinanza non
accetta più questo stato di cose, non l’ha mai tollerato. Perciò è uscita nelle
strade di Quito, per gridare: NO al Trattato di Libero Commercio. NO alla Base
di Manta. NO al consociativismo dei partiti. NO, NO e NO... Ma i politici non
fanno più caso ai reclami e si continua ad agire senza voler ascoltare
l’opinione della gente.” **
E’
terminata la protesta. Le strade di Quito si svuotano e la calma riprende a
regnare in tutto il paese. Quel che conta ora per Alfredo Palacio è rimanere al
potere almeno fino al 2007, “forajidos” permettendo…
Andrea “Chile” Necciai
[Un sentito ringraziamento all’amico Dennis Garcia, coordinatore del
“Forum sociale dell’Ecuador sull’acqua”, per la collaborazione prestata nella
ricerca delle fonti.]
Note:
* “I forajidos di Quito” di Giovanni Allegretti - dal
settimanale “Carta” del 5/11 maggio 2005.** “A comerse lo vomitado” di Francisco Herrera Arauz - da “Ecuador Inmediato” del 28/04/2005.
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