Oscar
Romero: il sacrificio di un uomo giusto.
Monsignor Romero, l'arcivescovo
di San Salvador, aveva deciso di non chiudere gli occhi davanti alle sofferenze
del suo popolo. Aveva deciso di reagire con l'arma della denuncia ai
responsabili dei crimini commessi contro i più deboli e gli indifesi. Nel corso
della sua ultima omelia pronunciò queste parole: "Non uccidere!... Nessun
soldato è obbligato ad obbedire ad un ordine che sia contro la legge di Dio...
Nessuno deve adempiere una legge immorale! [...] Vogliamo che il governo si
renda conto sul serio che non servono a niente le riforme se sono macchiate con
tanto sangue... In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente i
cui lamenti salgono al cielo sempre più tumultuosi, vi supplico, vi prego, vi
ordino in nome di Dio: Basta con la repressione!". Ma furono proprio
invettive come questa, rivolte ai potenti e ai signori della guerra, a segnare
la sua condanna a morte.
Il Salvador degli anni '70-'80
è un paese turbolento, tormentato da dissidi interni e da scandalose
ingiustizie sociali. Dall'inizio del secolo una ristretta cerchia di
latifondisti esercita un potere tirannico con l'aiuto dei corpi militari e
paramilitari, ed impone lo sfruttamento di terre e contadini "senza il
benché minimo riguardo per le effettive esigenze del paese e della
popolazione".
Alla reazione delle forze
sociali che reclamano giustizia e diritti, le istituzioni e l'estrema destra
rispondono con i sequestri, le torture e le stragi di coloro - sindacalisti,
operai, avversari politici o semplici campesinos - che osano anche solo
timidamente opporsi allo status quo.
E mentre il terrore viene elevato a sistema di governo, gli Stati Uniti
continuano vergognosamente ad inviare nel piccolo stato centroamericano armi e
istruttori dell'esercito per sostenere la repressione militare.
In quegli anni di Guerra Fredda
la Casa Bianca
è ossessionata dal pericolo che la "contaminazione comunista", dopo
l'esempio di Cuba, si possa espandere in tutta l'area centroamericana. Inoltre,
nel 1979 le preoccupazioni vengono ulteriormente alimentate dal successo della
rivoluzione nel vicino Nicaragua, dove i sandinisti riescono finalmente ad
abbattere il regime filoamericano di Somoza. Ed è proprio in questo contesto di
miseria e violenza armata che si colloca la coraggiosa esperienza pastorale di
Monsignor Romero.
Ordinato sacerdote nel 1942,
fin dai tempi della sua formazione in seminario il futuro arcivescovo è
considerato da tutti un uomo tranquillo e prudente. Anzi, dal punto di vista
teologico e politico, il suo spirito conservatore e tradizionalista lo spinge a
guardare con preoccupazione la scelta di una parte della Chiesa latinoamericana
di schierarsi a fianco delle popolazioni oppresse. L'"opzione per i
poveri" diventa in quegli anni un pilastro della nuova dottrina sociale
della Chiesa, la controversa "Teologia della Liberazione" che si
ispira alla linea progressista del Concilio Vaticano II.
Ma Romero è innanzitutto un
sacerdote devoto. Ben presto, il suo zelo nell'attività pastorale e
l'obbedienza alle gerarchie clericali gli valgono una rapida ascesa ai vertici
ecclesiastici locali, finché nel 1977 gli viene affidata la diocesi di San
Salvador. La nomina ad arcivescovo della capitale non turba minimamente le
classi dirigenti del Paese; neppure i militari si sentono più di tanto
"minacciati" da un uomo di carattere mite che ha sempre dimostrato
rispetto e deferenza verso il potere costituito.
Tuttavia, nel 1979 Padre Rutilio Grande, uno tra i più stimati
collaboratori di Romero, viene barbaramente assassinato da membri degli
squadroni della morte per aver abbracciato la causa dei contadini sfruttati e
massacrati. Il fatto suscita nell’arcivescovo un dolore immenso per la perdita
dell’amico, ma anche un profondo senso di indignazione per le sempre più
frequenti vittime delle “mattanze” squadriste.
Ancora
oggi, sono in molti a ritenere che dopo quel tragico evento il nuovo
vescovo subisca una vera e propria conversione, arrivando a considerare l’assassinio
un atto contro la Chiesa
e modificando il suo giudizio sui detentori del potere in Salvador. Cosicché, da quel punto in avanti il Romero
spirituale “cultore di studi teologici”, da tutti conosciuto come un uomo
disimpegnato politicamente e socialmente, si trasforma sorprendentemente in
accanito difensore dei diritti del suo popolo oppresso.
La
Cattedrale diventa il luogo in cui al commento delle letture
bibliche segue l’elenco puntuale, dettagliato, anagrafico dei desaparecidos,
degli assassinati della settimana e, quando possibile, anche dei loro assassini
o mandanti. Romero rivolge le sue accuse contro il clima di violenza e
intimidazione creato dal Governo e si schiera apertamente a favore dei meno
abbienti.
Mentre
vengono istituite diverse commissioni diocesane in difesa dei diritti umani,
dal pulpito il vescovo continua ad inchiodare alle loro responsabilità il
potere politico e quello giudiziario, spendendosi molto anche all'estero per
far conoscere all'opinione pubblica internazionale la reale situazione vigente
in Salvador, tanto da diventare in poco tempo "il personaggio radiofonico
più ascoltato, ma anche il più odiato dall'oligarchia terriera e dal
regime".
Intanto però la repressione si fa via via più feroce. Le
persecuzioni contro gli oppositori e i contadini che domandano giustizia e
riforme agrarie aumentano in numero e di intensità, seminando il panico tra la
popolazione. All’interno della stessa Chiesa salvadoregna molti sacerdoti,
intimiditi dal clima di terrore o per ragioni politiche, cominciano a prendere
le distanze da Monsignor Romero e non esitano ad attaccarlo con accuse
calunniose che lo dipingono come un "incitatore alla lotta di classe"
o un "sostenitore di un governo socialista di contadini e operai".
Nel maggio del 1979, a
mezzo di una petizione ufficiale, alcuni alti prelati della chiesa locale
arriveranno persino a chiedere con urgenza al Sant'Uffizio l’adozione di
provvedimenti disciplinari nei confronti del riottoso vescovo di San Salvador.
Passa un altro anno, ma il destino di monsignor Romero è
ormai segnato: i suoi nemici, sempre più numerosi in tutti i livelli delle
istituzioni, lo vogliono morto. L’epilogo si consuma il 24 marzo 1980. Nella
cappella della Divina Provvidenza durante la messa vespertina, l’arcivescovo ha
appena sollevato il calice. In quel preciso istante viene raggiunto mortalmente
dai colpi di un sicario giunto in chiesa per ucciderlo.
A distanza di 25 anni dalla sua
morte la profezia si è realizzata: “Se mi uccideranno - aveva detto - risorgerò
nel popolo salvadoregno”. Ancora oggi, dappertutto, la gente lo ricorda e lo
prega chiamandolo “San Romero d’America”.
Andrea Necciai
“La civiltà dell’amore non è un sentimentalismo, è la giustizia, la
vita… Una civiltà dell’amore che non esige la giustizia degli uomini non
sarebbe una vera civiltà ma una caricatura dell’amore, in cui si vuole dare
sotto forma di elemosina ciò che si deve già per giustizia.”
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