martedì 1 giugno 2004

AlReves: Nicaragua


Nicaragua: vita e morte del sandinismo.

 Nella regione montuosa di Las Segovias (Nicaragua nordoccidentale) sorge, abbarbicato su un  cerro, il piccolo villaggio di Niquinohomo (letteralmente “valle del guerriero”, nella traduzione castigliana). Da questa sparuta località ha origine il mito di una delle più originali ed affascinanti figure rivoluzionarie dei movimenti di liberazione dell’America Latina: il suo nome era Augusto Cesar Sandino.
Relegato dalla storiografia ufficiale a semplice attore della rivoluzione marxista del primo novecento, Sandino - il “generale degli uomini liberi”- incarna in realtà il simbolo della lotta armata contro gli invasori yankees, accorsi sul suolo nicaraguense unicamente per salvaguardare i propri interessi economico-militari.
Senza rifarsi chiaramente a nessuna delle ideologie novecentesche (tanto meno a quella comunista), egli sognava un’America Latina “unita sotto un'unica bandiera”. Il suo modesto esercito, un  singolare amalgama di contadini, patrioti e prostitute, dopo i primi insuccessi militari riuscì a prevalere su un nemico più numeroso e meglio equipaggiato, costringendo alla fine i marines statunitensi a ritirarsi definitivamente dal Nicaragua (1933). Correvano gli anni della Guerra Costituzionalista, combattuta tra i conservatori legati ai privilegi dell’aristocrazia terriera e la schiera dei liberali in lotta per l’autodeterminazione del popolo e per l’indipendenza dall’autorità statunitense.
Gli Stati Uniti iniziarono ad interferire nella politica interna del Nicaragua già dal 1909, provocando la caduta dei governi liberali e favorendo l’instaurazione di regimi autoritari (come quelli di Adolfo Diaz e di Somoza), la cui funzione repressiva era esercitata dalla Guardia Nazionale e dal Corpo dei Marines. Gradualmente, attraverso un astuto sistema di prestiti bancari, il governo della Casa Bianca cominciò a prendere “in garanzia” il controllo della dogana, delle ferrovie nazionali e dei trasporti del Lago Grande, “indeciso se costruire o no un canale tra i due oceani, mentre si verificava la capacità di quello di Panama”. Il canale - dopo tutto - non fu mai realizzato, ma l’occupazione militare Usa durò lo stesso più di vent’anni.
Oggi, a settant’anni dalla morte di Sandino e a più di venti dall’affermazione del primo governo popolare sandinista, il fragile stato centroamericano si trova sempre più alla mercé del capitale straniero che controlla ormai buona parte del settore bananiero e della produzione del caffè.
Nonostante l’economia sia cresciuta negli ultimi otto anni del 13%, la popolazione è aumentata del 24 %, il che significa una diminuzione del 9% delle entrate per persona. Se a questo si aggiunge la chiusura della banca statale, che avrebbe dovuto essere il motore finanziario dello sviluppo dei piccoli e medi produttori, la mancanza di una politica di sostegno al settore produttivo, l’abbandono totale dei servizi nelle campagne da parte delle istituzioni pubbliche, bisogna per forza ammettere che la situazione economica della maggior parte del popolo nicaraguense è disperata.
Secondo gli ultimi dati a disposizione, “l’82% della popolazione vive in condizioni di povertà e il 44% in condizioni di estrema povertà, il che significa sopravvivere con un dollaro o meno al giorno. Il settore rurale presenta un tasso di analfabetismo del 40%; la sanità è privatizzata e negli ospedali vengono consegnate ai malati le ricette perché si procurino le medicine da soli; ci sono circa 500.000 giovani in età scolare che non fanno niente e altri 260.000 che lavorano e non studiano.”
Cosa è mancato, dunque, nell’esperienza della rivoluzione popolare sandinista degli anni 80 che ebbe comunque il merito ripristinare le libertà fondamentali nel Paese?
Tra gli interventi rimasti incompiuti, c’è al primo posto quella riforma agraria che avrebbe dovuto consentire una più equa distribuzione della terra. In secondo luogo, il sandinismo non è stato capace di conservare le ricchezze strategiche del paese - le risorse agricole sono cadute via via nelle mani delle multinazionali -, penalizzando di conseguenza lo sviluppo, il sistema scolastico, le pensioni, la salute, l’educazione per tutti. E’ un fatto ormai che “molti obiettivi della rivoluzione sono stati cancellati dalla storia e di loro non rimane niente: dai forti investimenti sul sistema educativo e sanitario al tentativo di aumentare il livello di reddito dei nicaraguensi.” *
Il fallimento delle politiche sociali si somma al declino della sinistra istituzionale, logorata da lotte intestine e scissioni, come quella che portò alla nascita del Movimento di Rinnovamento Sandinista.
La principale forza di opposizione, il Frente Sandinista de Liberacion Nacional, si dimostra oggi un partito “chiuso”, più interessato - forse - alla difesa delle porzioni di potere fin qui conquistate che alla costruzione di alternative concrete alla politica liberista del governo Bolanos. Negli ultimi anni, il consolidamento della leadership di Daniel Ortega, guida storica del FSLN e più volte candidato alla presidenza, ha lasciato poco spazio alle spinte di rinnovamento - interne al movimento e allo stesso partito - per degenerare, infine, in una sorta di caudillismo che alimenta inutili personalismi ed impoverisce i contenuti del confronto politico. 
Sull’altro versante, l’attuale presidente Bolanos - esponente del Partito Liberale - si è rivelato nella gestione del potere un degno erede del suo predecessore Arnoldo Aleman. Quest’ultimo, come aveva già fatto Somoza in precedenza, trasformò il Nicaragua in un suo personale feudo; e persino l’opposizione sandinista aveva trovato la maniera di scendere ad accordi con lui per una spartizione indolore del potere. “El Pacto” fu sottoscritto nel gennaio del 2000 e aveva in pratica diviso tutti i poteri dello Stato tra gli uomini dei due partiti, PL ed FSLN, con una tacita intesa di non aggressione. Si era trattato di una decisione molto discussa, soprattutto perché, per mezzo di una legge votata dai due schieramenti, erano stati sciolti tutti gli altri partiti d’opposizione.
Nonostante la caduta di Aleman, uscito di scena di recente dopo le condanne per corruzione, la via del compromesso “scellerato” tra i due maggiori partiti continua a polarizzare lo scenario politico nicaraguense e l’immobilismo che ne consegue non aiuta certo lo sviluppo economico ed il progresso sociale di cui il Paese ha estremo bisogno.
Frattanto, le strutture di governo devono confrontarsi con la crisi del settore agricolo, seriamente danneggiato dalla caduta del prezzo del caffè di esportazione (-64% in soli due anni), effetto provocato dall’immissione sul mercato del caffè del Vietnam (nuovo ed acerrimo concorrente dei paesi latinoamericani).
(Chile)


 

* Intervista a Sergio Ramirez Mercado, fondatore del Movimiento de Renovacion Sandinista (MRS).