venerdì 30 dicembre 2022

ONG e soccorso in mare


Il decreto legge Sicurezza sull’attività delle organizzazioni non governative dà la misura di quanto possa essere profondo e irreparabile lo scarto tra la Vita e la Norma, tra i sentimenti e i movimenti umani e la legge, tra i bisogni primari, quali la sopravvivenza e la libertà, e i codici e i regolamenti.

La posta in gioco è il soccorso in mare e questo richiama una fondamentale questione di vita e di morte. La possibilità, cioè, di sottrarre al mare una esistenza umana o di abbandonarla a esso.
Questo si basa sul principio e sul vincolo della reciprocità: io salvo te perché so che domani, se la mia vita fosse in pericolo, tu salveresti me.
È questa la ragione che dovrebbe indurre a trattare la materia delle Ong del mare con il massimo senso di responsabilità.
L’attività di salvataggio viene bloccata dentro una gabbia rigida, che palesemente sembra aver dimenticato quello che dovrebbe essere il suo scopo essenziale. Come spiegare altrimenti una norma che dispone che per ogni missione si possa effettuare una sola operazione di salvataggio?
Pertanto, dopo aver soccorso le imbarcazioni in difficoltà, l’Ong non potrà effettuare altri salvataggi e nemmeno potrà realizzare trasbordi da una nave all’altra.
Una simile volontà governativa di “disciplinamento” può avere una sola motivazione: quella di scoraggiare e interdire la presenza delle navi delle Ong nei tratti di mare dove si concentrano le imbarcazioni dei profughi; e di stravolgere la finalità dell’azione di soccorso, trasformandola in attività di controllo e repressione.
Questo nuovo decreto Sicurezza riproduce l’errore capitale in cui sono incorsi quelli precedenti. Ignora che l’emergenza non è rappresentata dalle Ong e dai loro comportamenti non conformi alla politica dei governi, bensì dalla cifra crudele di quelle morti (circa 2mila nel 2022) che si registrano nel Mediterraneo centrale, anno dopo anno, in una strage infinita e insensata. L’azione delle Ong ha contenuto e ridotto questa macabra contabilità: combatterle ha il solo effetto di incrementare il numero delle vittime. 
Luigi Manconi

(Illustrazione di Francesco Piobbichi)

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giovedì 22 settembre 2022

[Iran]

 “In queste ore le donne iraniane stanno facendo qualcosa di grandioso.
Dopo essersi tolte l’hijab per manifestare contro la brutale uccisione della 22enne Mahsa Amini, “colpevole” di aver indossato “male” il velo, le proteste stanno dilagando in tutto l’Iran.
Commuovono le immagini di decine e decine di donne che, sfidando il regime di Khamenei, si tagliano i capelli, bruciano l’hijab in piazza e diffondono i video sui social, mentre in molte marciano in strada a volto scoperto come estremo atto di ribellione.
Donne che sostengono altre donne, in una sorellanza che supera anche la paura. 
Donne giovani e meno giovani che alzano la testa, non si piegano, scoprono il volto, bruciano i simboli dell’oppressione e manifestano per i diritti di tutte. 
C’è solo da inchinarsi dinnanzi a tanto, inaudito, coraggio. E sostenerle fino in fondo.”

 @lorenzotosa  

domenica 4 settembre 2022

Il dolore dei registi iraniani incarcerati

 "Creare è la nostra ragione di vita"
 Il messaggio di Panahi e Rasoulof

«Siamo cineasti. Facciamo parte del cinema iraniano indipendente. Per noi vivere significa creare. Creiamo opere che non sono su commissione, per questo chi è al potere ci vede come criminali»: comincia così la dichiarazione dei registi iraniani Jafar Panahi e Mohammad Rasoulof, letta dal direttore della Mostra di Venezia Alberto Barbera al panel «Cineasti sotto attacco». Panahi è stato privato della libertà personale nel luglio scorso, per aver manifestato insieme a numerosi suoi colleghi per l'arresto di altri due registi, Mohammad Rasoulof e Mostafa Aleahmad, avvenuto a seguito delle proteste contro la violenza nei riguardi di civili in Iran. 
«La storia del cinema iraniano - prosegue il messaggio - testimonia la presenza costante e attiva di registi indipendenti, che hanno lottato per respingere la censura e per assicurare la sopravvivenza di quest'arte. Fra questi, ad alcuni è stato vietato di fare film, altri sono stati costretti all'esilio o ridotti all'isolamento. Eppure la speranza di poter nuovamente creare è una ragione di vita, non importa dove, quando o in quale circostanza un cineasta indipendente stia creando o pensando di creare».