, ucciso a Gaza il 15 aprile 2011. In dieci anni ha continuato a trasmettere il messaggio di suo figlio. Cambiano le generazioni che vogliono conoscerlo e il filo non si spezza...
“Mi sento ancora orfana di mio figlio”.
Usa un paradosso Egidia Beretta, la madre di Vittorio Arrigoni, per
parlare del decimo anniversario dell’uccisione del figlio. “Come allora,
mi sento come se mi mancasse un pezzo, di cuore e di vita. Nonostante
tutti questi anni siano stati anche belli, per quello che è successo
attorno a me, per gli incontri, le dimostrazioni e l’enorme affetto che
ho ricevuto. Le persone hanno fame di Vittorio, vogliono conoscerlo, gli
vogliono bene e questo mi ha aiutato tantissimo”.
Come si sente nel decimo anniversario?
EB
Per me non si tratta di una ricorrenza da ricordare in maniera diversa.
In parte sono serena, ma la mancanza di mio figlio per me è sempre
enorme e anche se, come ho detto, questi anni mi hanno portato tanto
affetto, non dimentico mai che tutto parte da un assassinio.
Cosa ricorda oggi a mente fredda di quei giorni? Vede tutto nella stessa maniera?
EB
A volte ho dei ricordi vaghi, a volte confusi, altre mi attardo a
ripercorrere tutti i passi e quelle ore. Altre ancora mi scrollo tutto
di dosso. Ricordo con grande dolore il momento in cui mia figlia
Alessandra sentì alla tv che avevano trovato un corpo e che era di
Vittorio. Andai da Ettore, mio marito, che era nel letto gravemente
malato: “Il nostro Vittorio è morto”, gli dissi. La telefonata della
Farnesina arrivò poco dopo.
Che cosa sa dei rapitori rimasti in vita? Ha mai cercato un contatto?
EB
L’unico contatto è stato con i loro familiari, che ci chiesero di
intercedere presso il tribunale militare di Gaza affinché non fosse
applicata la pena di morte e così facemmo. Non mi è mai interessato, né
interessa, avere un contatto con loro.
Li ha perdonati?
EB
No, assolutamente. Per perdonare una persona devi conoscerla, vederla,
cercare di capire. Non lo volevo allora e non lo voglio oggi.
Lei allora mi disse che aveva una
sua idea su quello che è successo a suo figlio, l’ha cambiata? Perché
secondo lei è stato ucciso?
EB Fin
dall’inizio ho pensato che ci fosse un mandante più in alto degli
esecutori, anche se non so dare contorni definiti alla mia sensazione.
Forse credere che non sia stato semplicemente un colpo di testa è un
tentativo di lenire il cuore. Penso che sia stato ucciso per metterlo a
tacere, lo penso oggi più di ieri, anche se non ho ricevuto nuove
informazioni o prove a riguardo.
Lei ha scelto di continuare a
diffondere il messaggio di suo figlio invece che condurre una battaglia
per rivendicare la verità di quello che è successo. Crede che non si
arriverà mai alla verità? O le basta quella giudiziaria?
EB
L’ho fatto perché credo che nel mio caso sia un dispendio inutile di
energie, anche per la mia anima, conservare per sempre questo rancore.
Apprezzo chi lo fa, come i genitori di Giulio Regeni, ma quella è un
altro tipo di battaglia -su come, dove e soprattutto sulle
responsabilità di quello che è accaduto- e capisco la loro scelta. Io so
di avere un altro compito, il compito che Vittorio mi ha affidato e che
mi aiuta a restare più serena, una condizione dello spirito migliore
per quando ci rincontreremo. La mia sarebbe una battaglia contro i
mulini a vento e allora mi accontento della verità giudiziaria, anche se
non ho mai nascosto alcune perplessità, in particolare sulle ricerche.
Il mio unico rincrescimento è che non è stata fatta luce fino in fondo
sul presunto leader del gruppo, il giordano.
Come sono stati questi anni in giro per l’Italia a raccontare suo figlio? Che bilancio ne trae?
EB Sono
contenta. L’eredità di Vittorio è ancora fortissima, la sua voce non si
è mai spezzata né è stata dimenticata. I primi giovani a cui l’ho
raccontato sono cresciuti e adesso ci sono le nuove generazioni, quelli
che erano troppo piccoli per ricordare, che vogliono conoscerlo. È un
filo che non si spezza.
Che cosa resta ai ragazzi di Vittorio?
EB
Gli resta in mente il Vittorio fermo, deciso, che non ha mai rinunciato
a seguire i suoi ideali, la sua via, utopia, nonostante le difficoltà e
le privazioni. Li stupisce la forza interiore che lo ha portato ad
andare avanti, la costanza e la voglia di superare le difficoltà. E li
sorprende che io non mi sia opposta alle sue scelte, ma lo abbia
lasciato “volare”. Quando mi domandano il perché, stanno pensando ai
loro sogni e sperando nelle loro madri.
Cosa ha imparato da tutti questi incontri?
EB Che
ci sono molte più persone di quanto si possa pensare generose,
altruiste, che aspirano ad una vita in cui possano aiutare gli altri.
Che l’Italia e gli italiani sono un popolo grande. L’ho capito per
l’accoglienza e l’affetto che ho sempre ricevuto e che mi ha dato la
forza in tutti questi anni. C’è un’Italia che si conosce poco, che
esiste e resiste.
L’uccisione di suo figlio l’ha cambiata, se sì in che senso?
EB
Sono sempre stata una persona che tendeva a vedere l’umanità negli
altri e lo sono ancora, anzi forse ora di più, perché l’ho constatata di
persona. La mia quotidianità certo è cambiata: ho molti contatti, il
lavoro della Fondazione che prima non c’era e che avrei preferito non ci
fosse, ma che ha dato forma alla positività degli incontri, agli
scambi… È incredibile notare come tanti siano desiderosi di
“appropriarsi” delle esperienze di Vittorio.
Vittorio è stato inserito tra le
vittime del terrorismo e con i fondi avete rinsaldato la Fondazione Vik
Utopia. Che cosa avete realizzato in questi anni?
EB La fondazione (fondazionevikutopia.org)
è nata nel 2012 con fondi nostri, addirittura con i risparmi che erano
rimasti sul conto di Vittorio. Il riconoscimento di vittima del
terrorismo è arrivato nel 2015 e i fondi solo successivamente. Ogni anno
finanziamo due-tre progetti nello spirito di Vittorio, cioè lasciare
qualcosa di costruito, concreto, e che vada a beneficio soprattutto dei
bambini o dei ragazzi, i più fragili e bisognosi, e a cascata
naturalmente anche delle loro famiglie. A Gaza abbiamo realizzato
diversi progetti, ma anche in Africa, Sud America, Europa, in
Afghanistan, quest’anno in Bosnia.
A livello istituzionale è cambiato qualcosa? È stata contattata da esponenti politici in questi anni?
EB
Nessuno si è avvicinato. Tutti mi chiedono perché anche a livello
istituzionale non venga ricordato e io rispondo che non lo so. Di certo
io non vado a cercare niente o nessuno. Io e Alessandra siamo state
invitate a Roma per la giornata nazionale delle vittime del terrorismo e
siamo andate un paio di volte, ci sembrava un dovere, ma è qualcosa di
molto molto formale.
Anche grazie a lei ci sono state
molte iniziative dedicate a Vittorio. C’è qualcosa che vorrebbe che
ancora non è riuscita a fare?
EB
Mi piacerebbe andasse a buon fine un documentario realizzato da due
giovani laureati alla scuola d’arte di Roma. Il progetto prevede diverse
forme di espressione, tra cui anche l’animazione, con la graphic novel che Stefano Piccoli ha dedicato a Vittorio. Per ora è fermo, spero riparta.
Per l’anniversario avete previsto qualche iniziativa?
EB
Se ci fossimo trovati in un’altra situazione (senza Covid-19), lo
avremmo ricordato a Bulciago ad aprile. Mi sto meravigliando di come
tanti lo stiano facendo o lo faranno in quei giorni. Ricordo, tra gli
altri, il podcast “Le ali di Vik”; un’iniziativa
dell’associazione Assopace Palestina; uno spettacolo dell’Anpi di
Aprilia tratto dal libro di Vittorio; l’evento “Buon compleanno Faber”
organizzato dalla biblioteca di Monserrato in Sardegna, il contest lanciato dall’agenzia giornalistica Nenanews. Le persone ci hanno sostituito.
Non se l’aspettava?
EB
No, anche se forse il funerale è stato un presagio. Ricordo lo stupore,
la gioia e la riconoscenza per tutte quelle persone. Il fatto che venga
continuamente ricordato significa tanto per me, significa che quella
vita errabonda, che ci teneva un po’ in pensiero, è stata la cosa più
bella che Vittorio potesse fare per lui e per molti altri.
Cosa vuol dire per lei “restare umani”?
EB
Questa è la domanda più difficile perché tutte le risposte rischiano di
sembrare frasi fatte. Credo che significhi guardarsi attorno, non stare
rinchiusi dentro le mura dell’egoismo ma mettersi a disposizione.