Nel 2009, il Burkina Faso aveva riposto tutte le sue speranze nel cotone OGM. Le promesse erano state straordinarie: meno lavoro, più rendimenti e profitti. La coltura transgenica era arrivata a coprire l’80 per cento della produzione nazionale, la seconda risorsa del Paese dopo l’oro. Poi, nel 2012, era cominciata la crisi, perché la qualità del raccolto era scarsa, le fibre non abbastanza lunghe. Il cotone burkinabè non era più competitivo e la crisi dilagava. Con la fine della dittatura. appoggiata dalle potenze occidentali, i produttori hanno trovato il coraggio di abbandonare l’opzione Ogm per tornare ai metodi tradizionali. L’ultimo raccolto è stato ottimo, sia dal punto di vista quantitativo che per la qualità del prodotto. Il business della multinazionale acquisita dalla Bayer si è così dissolto e il governo democratico eletto in Burkina chiede al colosso Ogm un risarcimento per il danno subito che l’Association interprofessionnelle du coton quantifica in circa 74 milioni di euro.
Fonte: redazione greenreport.it
La raccolta di cotone nel Burkina Faso, uscito da poco una dittatura
trentennale appoggiata dall’Occidente, era in crisi e con un prodotto di
scarsa qualità e alla fine i produttori di cotone burkinabé hanno avuto
un’idea: farla finita con le sementi OGM del cotone BT di Monsanto e la cosa ha funzionato splendidamente. Non
solo il raccolto è stato ottimo, ma il prodotto è di eccellente
qualità, si vende bene e a un maggior prezzo. Insomma è stato un ritorno
indietro, salvifico, al tempo del Burkina Faso socialista di Thomas
Sankara.
Infatti – come spiega Axel Leclercq su Positvr – «il
matrimonio tra Monsanto e il Burkina Faso risale al 2009. Àll’epoca
questo Paese (che è annoverato tra i più poveri del nostro pianeta)
aveva posto tutte le sue speranze nel cotone OGM dalle promesse
straordinarie: meno lavoro, più rendimenti, più profitti.
Grosso modo, Monsanto voleva cambiare la vita del Paese». Ma i
produttori di cotone molto presto hanno capito che c’era qualcosa che
non funzionava: il cotone BT Ogm non era di buona qualità e si vendeva
male. Alla fine è arrivato il divorzio dalla multinazionale degli Ogm
appena acquisita dalla Bayer.
Monsanto risponde che in Burkina Faso è stata fatta un «cattivo utilizzo del prodotto»,
ma gli agricoltori burkinabé non rimpiangono il cotone Ogm e sono
convinti che il ritorno alle sementi tradizionali sarà seguito daglui
altri produttori africani. Bruttissime notizie per Monsanto/Bayer che
guardava all’Africa come la terra promessa degli Ogm: la spettacolare
marcia indietro del Burkina Faso ha avuto un clamoroso successo e in molti pensano di cacciare Monsanto dai loro campi per tornare al cotone non OGM.
La fibra del cotone BT Monsanto è troppo corta e la lunghezza della
fibra è il primo criterio di qualità del cotone, quindi i produttori
burkinabé hanno pagato duramente sul mercato la fiducia riposte nelle
promesse del governo golpista e nella Monsanto. Ora
il nuovo governo nato dalla rivoluzione e dalle elezioni democratiche
chiede addirittura un risarcimento alla multinazionale degli OGM e l’Association
interprofessionnelle du coton du Burkina (Aicb) quantifica il danno
subìto in 50 miliardi di franchi Cfa, circa 74 milioni di euro.
E’ dal 2012 che il calo di qualità del cotone OGM si è fatto sentire
con il calo delle entrate delle compagnie cotoniere: il cotone burkinabè
perdeva colpi sul mercato mondiale rispetto agli altri cotoni
dell’Africa occidentale, ma per le compagnie cotoniere burkinabè era
difficile rinunciare dall’oggi al domani al cotone BT che era diventato
popolare tra gli agricoltori perché richiedeva meno pesticidi e che
all’inizio sembrava aver aumentato sensibilmente i rendimenti, cosa che
era piaciuta molto ai contadini meno formati professionalmente.
Quando sono cominciate le difficoltà, Monsanto si era impegnata a rivedere le sue sementi, ma senza grande successo. Anno
dopo anno le compagnie cotoniere hanno quindi richiesto sempre meno il
cotone OGM, che ormai si coltivava nell’80% del territorio destinato a
cotone. Quest’anno è stato chiesto agli agricoltori di non piantare
cotone transgenico e di seminare quello tradizionale. Il nuovo direttore
generale della Sofitex, una delle principali compagnie cotoniere, ha
fatto il bilancio di danni prodotti dal cotone BT della Monsanto: da 20 a
30 franchi Cfa in meno per libbra di cotone, un danno non solo economico, ma anche morale e di immagine per il cotone burkinabè, l’oro bianco del Paese, la seconda risorsa del Burkina Faso dopo l’oro vero, ha perso la sua reputazione.
Per questo l’Aicb, dopo trattative discrete con Monsanto, ora reclama apertamente risarcimenti multimilionari in euro. L’Aicb
ricorda che la ragione principale per la quale è stato adottato il
cotone Ogm era la lotta ai bruchi che distruggevano i raccolti,
ma «otto anni dopo, il Burkina Faso attualmente incontra problemi con
questa speculazione, perché essendo corta la lunghezza della fibra gli
stakeholder non sono più molto interessati». Insomma, le promesse del
cotone Ogm di evitare i maggiori danni alle coltivazioni prodotte dagli
insetti diventati resistenti ai pesticidi, accrescere la produzione,
diminuire la quantità di insetticidi sparsi e i costi di produzione e la
fatica nei campi, le ragioni che hanno portato ufficialmente il governo
a dare il via libera a Monsanto, si sono trasformate negli anni in
perdite finanziarie e in un abbassamento della qualità del cotone, fino a
che, l’Aicb non ha inviato a Monsanto un memorandum e, 10 mesi dopo, si
sono tenuti a Ouagadougou diversi incontri tra cotonieri Burkinabé e la
multinazionale che non ha mostrato di recepire le ragioni dell’Aicb
che, appoggiata dal nuovo governo, ha quindi deciso di produrre il 100%
di cotone tradizionale nella stagione 2016/2017.
La Sofitex, che ha un bel po’ di colpe in questo disastro, non se le assume e avverte furbescamente che «il
ritorno al cotone convenzionale non è un rifiuto del cotone OGM, ancor
meno della partnership con Monsanto, ma piuttosto un ripiegamento
tattico, vale a dire “tornare indietro per saltare meglio”,
attendendo che il marchio Monsanto continui le ricerche in
collaborazione con l’Inera in vista di migliorare la lunghezza della
fibra del cotone OGM che attualmente è controversa sul mercato mondiale e
che comporta delle perdite enormi per la filiera cotoniera del Burkina
Faso».
Ma sarà molto difficile che gli
agricoltori Burkinabè, i quali, visto pur in una situazione ambientale e
climatica difficile, si godono un raccolto mai visto credano ancora
alle promesse di Monsanto e dei suoi complici burkinabé. Infatti
è la stessa Sofitex ad ammettere che «il ritorno alla coltura del
cotone geneticamente modificato di Monsanto o di qualsiasi altro marchio
che sviluppi delle tecnologie similari potrà essere preso in
considerazione dall’Association interprofessionnelle du coton du Burkina
(Aicb) solo quando saranno attuati i lavori di recupero delle
caratteristiche del label coton burkinabé». Cosa che, come hanno
dimostrato i fatti, sembra impossibile con il “metodo” Monsanto, che
forse ha meno amici nel Burkina Faso dove è tornata la democrazia.