La verità sequestrata
Il
caso dimenticato dei cinque cubani detenuti negli Stati Uniti
E’ notizia di qualche settimana che il Dipartimento di Stato USA ha inserito
Cuba - per la trentesima volta - nella sua particolare lista nera degli “Stati patrocinatori del terrorismo
internazionale”.
Per tutta risposta, le autorità cubane rimandando le accuse al mittente hanno
sottolineato a più riprese come il governo degli Stati Uniti, “che storicamente
ha praticato il terrorismo di Stato, le esecuzioni extragiudiziali, i sequestri
di persona, gli assassini con aerei non pilotati, la tortura e le detenzioni
illegali, che ha stabilito carceri segrete, che è responsabile della morte di
centinaia di migliaia di civili innocenti come risultato delle sue guerre di
occupazione e di conquista in Iraq e in Afghanistan […]”, non possieda la minima autorità morale per giudicare un paese come
Cuba, che è stato ripetutamente vittima di aggressioni illegali e che ha sempre
seguito un percorso irreprensibile nella lotta al terrorismo internazionale.
Da parte nordamericana l’obiettivo (mai dichiarato) è sempre lo stesso:
giustificare l’anacronistico blocco economico e le politiche restrittive contro
Cuba diffondendo false accuse, come la solita “bufala” del terrorismo
internazionale, oppure aggrappandosi a pretesti assurdi nel tentativo di gettare
discredito sul governo cubano.
Per quest’ultimo, la prova più evidente della doppia morale degli USA è
rappresentata dal caso giudiziario dei “Los Cinco”: i cinque informatori cubani
condannati per spionaggio e cospirazione, rinchiusi dal 1998 nelle carceri di
massima sicurezza dello Zio Sam.
L’accusa.
Dal 1959, anno dell’insediamento della Revolución, ad oggi Cuba ha subito
numerosissimi atti terroristici per mano di gruppi paramilitari eversivi - come
“Alpha 66”
e “Omega 7”
- che operano indisturbati in Florida e che notoriamente sono finanziati dalle lobbies anticastriste e dalla Cia.
Nel settembre del 1998, al momento del loro arresto, i cinque agenti dell’intelligence cubana Antonio Guerrero,
Fernando Gonzalez, Gerardo Hernandez, Ramon Labaniño e René Gonzalez stavano operando
in territorio statunitense come infiltrati per scoprire i piani contro Cuba,
messi a punto dai gruppi anticastristi di stanza a Miami.
L’arresto, eseguito dal FBI, avvenne poco tempo dopo l’abbattimento di due
velivoli di “Hermanos al rescate” (un’organizzazione
eversiva composta da esiliati cubani con base a Miami) da parte dell’aviazione
militare cubana. I due aerei, che secondo fonti cubane stavano sorvolando lo
spazio aereo dell’isola senza essere autorizzati, poterono essere intercettati
grazie alle informazioni passate dai cinque agenti cubani. E per questo il
principale accusato, Gerardo Hernandez, è stato giudicato direttamente
responsabile dell’abbattimento dei due aerei e condannato a due ergastoli.
Il governo degli Stati Uniti accusò prontamente tutti e cinque gli agenti di
“spionaggio e cospirazione per conto di una nazione straniera” - in realtà, i
capi d’accusa contestati ai cinque furono, in tutto, ben 24 -, mentre quello
cubano si difese sostenendo di aver inviato negli Usa i cinque unicamente con l’ordine di infiltrarsi tra
le file dei gruppi terroristici anticubani, allo scopo di ottenere informazioni
utili circa le loro attività terroristiche.
Il
giudizio.
Il processo contro i Cinque Cubani, cominciato a Miami nell’autunno del
2000, si concluse nel giugno 2001 dopo 7 lunghi mesi di dibattimento. Nelle
udienze sono comparsi più di 70 testimoni e sono stati presi in esame più di un
centinaio di dossier contenenti trascrizioni e documenti probatori, compresi 15
volumi con le narrazioni dei fatti.
Alla fine, la condanna più pesante (due ergastoli) toccò a Gerardo
Hernandez; Guerrero e Labaniño ricevettero anche loro l’ergastolo, mentre
Fernando e René Gonzalez furono condannati rispettivamente a 19 e a 15 anni. In
tutti e cinque i casi fu inflitta la massima pena per quel genere di reati.
In seguito alle vibranti proteste giunte non solo da parte cubana ma anche
da numerosi ambienti politico-culturali e dell’opinione pubblica
internazionale, nell’agosto 2005 l’undicesimo tribunale della Corte d’Appello
di Atlanta sospese le condanne, ordinando l’esecuzione di un nuovo processo.
Ma appena un anno dopo - a sorpresa - la stessa Corte, sovvertendo la decisione
della precedente sentenza, confermò tutte le condanne della Corte di Miami e
mise il sigillo finale a questo singolare caso giudiziario, nonostante l’aperta
opposizione di due dei suoi membri, i giudici Byrch e Kravitch, secondo i quali
“si è trattato di un caso d’eccezione nel quale si doveva imporre un cambio di
sede [il trasferimento del processo dalla sede di Miami, ndr], dovuto al
pregiudizio latente nella comunità di Miami che rende impossibile la
composizione di una giuria imparziale”*.
Le
conclusioni.
In spregio alle garanzie legali sancite dal diritto statunitense e da quello
internazionale, i cinque cubani sono stati sottoposti ad un processo iniquo ed imparziale nella città dove
impera la mafia d’origine cubana, la stessa
che ha avuto buon gioco “nello scatenare una violenta e fallace campagna
propagandistica per manipolare
l’opinione pubblica di Miami e la giuria del tribunale, cosa che è stata
ripetutamente denunciata dagli avvocati della difesa”.**
Dalla data del loro arresto sono passati più di dodici anni, e tuttavia i
“Cinque Cubani” godono attualmente del sostegno di innumerevoli associazioni e di
gruppi di solidarietà in tutto il mondo: tra le personalità più influenti c’è
il presidente dell’Assemblea Generale dell’ONU, Miguel D’Escoto, che ha sempre
denunciato la loro detenzione come “ingiusta ed illegale”.
L’ultima voce levatasi a difesa dei cinque informatori è quella del Senato
belga che, in seguito all’infaticabile opera di sensibilizzazione del “Comitato
belga per la liberazione dei Cinque”, ha recentemente approvato una risoluzione
che esige dal governo statunitense “un intervento immediato per ottenere la scarcerazione
dei cinque detenuti cubani”.