Il sogno bolivariano di Hugo Chavez
“Non mi darò pace finché ogni essere umano che vive in
questa terra non avrà casa, lavoro e un mezzo di sostentamento”. Così, in una
delle tante interviste rilasciate al New York Times, il presidente venezuelano
Hugo Chavez ribadisce i propositi delle “riforme bolivariane” introdotte dal
suo governo. Riforme che lo hanno reso, nel tempo, un personaggio molto amato
nella sua nazione ma altrettanto discusso all’estero.
I suoi detrattori (se ne contano
molti anche in Europa) lo definiscono con disprezzo “demagogo populista” e
“comunista amico di Castro” per la popolarità che si è conquistato presso i
ceti poveri e la simpatia, sempre ostentata, per il “lider maximo” cubano.
Oggi, per gli stessi motivi, il
“caudillo” venezuelano è inviso ai massimi centri del potere economico (FMI e
Banca Mondiale) nonché agli ambienti della Casa Bianca. In effetti, l’ostilità
dichiarata nei confronti dei programmi di austerità del Fondo Monetario
Internazionale - il principale responsabile, secondo lo stesso Chavez, del
sottosviluppo dei paesi latinoamericani - continua a danneggiare la sua
credibilità all’estero e soprattutto agli occhi dell’Occidente.
Dopo il fallito colpo di stato
contro il corrotto governo in carica (1992), l’ex colonnello dei paracadutisti
Hugo Chavez sale al potere nel 1998 mediante libere elezioni. In quel passaggio
cruciale per il processo democratico in Venezuela, riesce a sconfiggere duramente entrambi i
partiti tradizionali - Accion Democratica e Copei avevano spadroneggiato per
decenni, spartendosi il 90% dei voti - e a relegarli ad uno striminzito 9%,
forte del sostegno popolare che lo proietta al 57% dei consensi.
Appena insediato, il nuovo
governo comincia a varare un vasto pacchetto di riforme economiche (ben 49) per
mettere mano alla ristrutturazione di interi settori dell’economia del Paese.
Le misure più controverse riguardano, in particolare, agricoltura e risorse
energetiche (petrolio e idrocarburi).
La tanto contestata “Legge sulla
Terra”, promulgata nel 2001, conferisce allo Stato pieni poteri per la confisca
e la ridistribuzione dei terreni privati coltivati “che eccedano una certa
dimensione e che siano giudicati improduttivi”. Inoltre, come recita la legge,
“gli agricoltori sono tenuti a mostrare i titoli di
proprietà delle terre che utilizzano a partire dal 18 dicembre (8 giorni dopo
l'entrata in vigore del provvedimento) onde evitare l'espropriazione”.
Come è
facile rilevare, il senso di questa riforma agraria va nella direzione di una
più equa distribuzione della terra, a tutto vantaggio delle piccole “haciendas”
e dei contadini “sin tierra” sempre penalizzati dallo strapotere del grande
latifondo. Per di più, la legge stabilisce una severa regolamentazione della
proprietà dei terreni coltivabili: una misura quanto mai necessaria per far
fronte al fenomeno dilagante dell’occupazione abusiva.
Il
Miami Herald, riportando uno studio fatto dall'Istituto Nazionale Agricolo del
Venezuela, stima che quasi il 95% dei proprietari terrieri non possiede titoli
legali sulle proprietà che occupa. Ecco perché nelle ore convulse del
golpe del 2002 - quello ordito dalla Cia e dalla confindustria venezuelana per
rovesciare Chavez - si sono visti i grandi latifondisti protestare in piazza:
la terra agli indios poveri sarebbe stata per loro una vera “ingiustizia”.
Sul versante della politica
petrolifera, Chavez intende continuare l’esportazione dell’”oro nero” a Cuba ad
un prezzo ridicolo, puntando viceversa ad un innalzamento dei prezzi negli
scambi verso Usa e paesi ricchi. Il suo vero obiettivo è rendere il Venezuela
(il maggior esportatore dell’America Latina e l’unico stato della regione a far
parte dell’Opec) sempre più indipendente nella gestione dell’estrazione e della
commercializzazione del greggio. Come è ovvio, tale orientamento politico
risulta particolarmente sgradito agli Usa - principali fruitori del petrolio
venezuelano - che, di conseguenza, continuano a mettere in atto azioni di
rappresaglia contro il paese andino.
Nel 2001 dopo la presidenza
Clinton, “i repubblicani cominciarono ad accusare Chavez di appoggiare i gruppi
guerriglieri di tutta la zona della Cordigliera ed iniziarono a percepire la
sua politica come ulteriore elemento di instabilità”. Da quel momento la Casa
Bianca ha puntato a bloccare l'economia interna venezuelana, come nel 1973 fece
per Salvador Allende, sostenendo un coacervo di forze che facevano resistenza a
Chavez, fino a giungere al golpe (fallito) dell’aprile del 2002 che intendeva
consegnare il governo a una giunta di esponenti legati a doppio filo con
l’oligarchia confindustriale e terriera del Paese. Giunta capeggiata
dall’imprenditore Pedro Carmona Estanga, leader della potente Federcameras (la
confindustria locale).
Oggi, a quasi due anni dal colpo
di stato contro-bolivariano, l’opposizione a Chavez è andata rafforzandosi,
contando vieppiù sull’appoggio di stampa e mass media. Il potente apparato
televisivo venezuelano “funziona praticamente all’unisono, a reti unificate 24
ore al giorno, talvolta con una propaganda apertamente terrorista che fa
sfacciatamente appello alla violenza e alla ribellione militare, violando tutte
le leggi in materia”. I principali network nazionali, controllati direttamente
o influenzati dalla destra militare e imprenditoriale, mettono in onda incessantemente
“un micidiale cocktail di menzogne, manipolazione dell’informazione e violenza
psicologica” nel tentativo di screditare il governo costituzionale e di
attirare nuovi settori del Paese in appoggio ad una soluzione violenta della
crisi.
Ma a dispetto dell’ossessiva
campagna di diffamazione mediatica, il sostegno della popolazione a Chavez si
mantiene ben saldo (negli strati medio-bassi come nell’esercito). E, per il
momento, né l’ostruzionismo dell’opposizione né l’ostilità degli Stati Uniti sembrano
in grado di arrestare quest’originale processo di trasformazione del Paese che
passa sotto il nome di “Nuova Rivoluzione Bolivariana”.
(Chile)
“Siamo qui per portare alla
vittoria la rivoluzione e lo dimostreremo consegnando ancora una volta ai contadini
titoli di proprietà della terra e titoli di credito agevolato per intraprendere
un’attività autonoma, o meglio, in cooperativa. E’ con questa distribuzione
della terra dei latifondi eccedenti i 5.000 ettari, come con l’assegnazione dei
titoli di proprietà urbana agli abitanti dei quartieri poveri, che avanzano le
nostre riforme e che si compie una vera rivoluzione sociale. Noi abbiamo una
priorità: insieme al pane vogliamo restituire
la dignità.” (Hugo Chavez Frìas)