Le vene sempre aperte
dell’America Latina
A più di dieci anni dalla caduta
del “socialismo reale”, caratterizzato da aspirazioni frustrate e rivoluzioni
tradite, l’America Latina del nuovo millennio continua tristemente a riproporre
storie di ingiustizie scandalose, di governi corrotti e di guerriglieri
temerari.
Ma a risultare intollerabili,
almeno per larga parte della stampa e della politica, sono soltanto i
guerriglieri che ogni tanto sembrano sbucare dal nulla: come i piccoli maya
capeggiati dal Sup Marcos o i giovanissimi Tupac Amaru peruviani o ancora i
ribelli delle FARC colombiane.
“Idioti idealisti” e
“bandoleros senza ideali” sono solo alcuni degli appellativi coniati dai
soloni dell’informazione che attaccano i movimenti rivoluzionari del continente
latinoamericano. I critici però evitano accuratamente di spiegare che la
guerriglia dipende, nasce e cresce dalla mancanza di libertà e dalla miseria di
intere popolazioni.
Guido Piccoli ci ricorda che “le
annuali statistiche economiche testimoniano implacabilmente che la stragrande
maggioranza del mezzo miliardo di persone che vive dal Rio Bravo alla Terra del
Fuoco è molto più povero dei tempi del Che e di Allende”. Dappertutto diventano
ogni giorno più scandalose le ingiustizie sociali, a causa dello strapotere di
latifondisti e multinazionali, ma anche delle politiche neoliberiste che
impongono l’apertura dei mercati e le privatizzazioni.
I paesi poveri, per giunta, sono
schiacciati dalla morsa del debito, che costringe i loro governi a versare interessi
scandalosi alle banche internazionali e alle nazioni del ricco e opulento nord
del mondo.
Se è vero che quasi ovunque sono
cadute le dittature militari, sostenute negli anni della Guerra Fredda dal
governo di Washington, è altrettanto evidente che le giovani “democrazie” dei
paesi latinoamericani, se viste da vicino, si rivelano una scatola vuota.
Le elezioni sono tutto fuorchè
libere: i brogli, i ricatti del Fondo Monetario e degli Usa, le cospirazioni
contro i movimenti popolari impediscono quasi ovunque la piena affermazione dei
diritti civili. Politici e giornalisti onesti, intellettuali e sindacalisti
combattivi vengono emarginati, minacciati, uccisi o costretti all’esilio. Tali
pratiche vengono tuttora perpetrate in Cile, Argentina, Guatemala, Colombia,
Venezuela con la “guerra di bassa intensità”, messa in atto dagli agenti dei
servizi segreti, dagli squadroni della morte o dai gorilla delle
multinazionali.
Oggi come ieri, la regia di
questo orrendo spettacolo è diretta dagli Stati Uniti d’America. “E’ a
Washington che si compilano le classifiche dei buoni e dei cattivi, in base al
grado di affidabilità o di asservimento dei governi di ogni paese […]. Era
nella School of Americas di Panama, che si sono addestrati per decenni alla
messa in pratica di questa guerra sporca 50mila ufficiali degli eserciti
latinoamericani (tra loro il cileno Pinochet, il paraguaiano Stroessner,
l’argentino Videla, il boliviano Banzer e il panamense Noriega), imparando ad
esempio le tecniche più efficaci della tortura. Ed è nelle accademie militari
statunitensi che continuano ad essere addestrati gli ufficiali degli eserciti
latinoamericani. Con gli obiettivi di sempre, anche se – per evidenti problemi
d’immagine – nei programmi è stata introdotta anche la materia dei Diritti
Umani”.
Altra acqua dovrà passare sotto i
ponti, altre sconfitte e delusioni dovranno venire prima di approdare ad un
serio cambiamento. Oggi, tuttavia, la speranza che si affaccia nel futuro
dell’America Latina porta il nome di Lula da Silva. Alle ultime elezioni
presidenziali brasiliane “il presidente del popolo” ha incassato un autentico
plebiscito. I suoi programmi parlano di lotta alla miseria e di progresso
sociale per le masse popolari. Partirà da Porto Alegre la riscossa delle
sinistre nel Continente dimenticato?
(Chile)