venerdì 9 novembre 2012

Armi, ancora armi: il Senato approva


Un F-35 in volo. Foto Reuters.

«Perché si sono definiti precisi obiettivi di riduzione del personale militare e civile senza definire la revisione di nessuno dei 71 programmi di armamento avviati da dieci anni?»

Flavio Lotti,
coordinatore nazionale della Tavola della pace
07/11/2012

Meno dipendenti, più F-35: il Senato approva. Ieri pomeriggio l'assemblea di Palazzo Madama ha autorizzato i generali a tagliare i posti di lavoro nel settore della Difesa per comprare i tanto discussi aerei.
In un’aula particolarmente rumorosa e disinteressata, 252 senatori contro 12 hanno approvato una legge che affida al prossimo Governo il potere di riorganizzare le Forze armate.  Intervenendo nel dibattito, il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, ha ribadito che si tratta di una semplice «revisione in senso riduttivo» e non di un nuovo modello di difesa. Infatti, nonostante tutto quello che sta succedendo nel mondo, questa “riforma” è stata fatta proprio con l’obiettivo che nulla cambi. I vertici militari di questo nostro Paese vogliono continuare a comprare armi sempre più moderne e sofisticate e siccome sono costosissime e non ci sono più soldi, tagliano il personale.

Così, invece di approfittare della crisi finanziaria per fare una vera riforma motivata da una coerente analisi geopolitica e dalla definizione del ruolo dell’Italia, il Senato ha preferito cedere. Per altri 12 anni continueremo a buttare un sacco di soldi (stime attendibili parlano di un totale di circa 230 miliardi di euro) per tenere in piedi un apparato militare un po’ più piccolo ma ugualmente anacronistico. Il Paese non ce la fa più, milioni di persone e di famiglie non ce la fanno più, si tagliano i servizi alla persona e agli enti locali che li devono fornire ma i soldi per comprare armi  non mancheranno.
Non stiamo parlando di armi qualsiasi. Parliamo degli F-35, parliamo di armi da guerra ad alta intensità che nulla hanno a che fare con l’articolo 11 della nostra Costituzione e men che meno con le missioni di pace a cui potremmo partecipare nel rispetto della Carta delle Nazioni unite. Ma chi l’ha detto che l’Italia ha davvero bisogno di quelle armi? Chi e quando ha stabilito che ci dobbiamo organizzare per andare a fare la guerra in giro per il mondo? E visto che gli italiani sono sempre meno propensi a farsi coinvolgere in altre guerre, che senso ha buttare tutti questi soldi in armi? E ancora: perché si sono definiti precisi obiettivi di riduzione del personale militare e civile e non si è definita la revisione di nessuno dei 71 programmi di armamento avviati da dieci anni a questa parte?

L’ammiraglio Di Paola ringrazia i senatori con ironia: «Mi auguro che, nella prossima legislatura, scriviate un bel Libro Bianco sulla Difesa. Ne avete parlato tante volte ma non l’avete mai fatto. Intanto noi andiamo avanti». Una senatrice del Pd applaude entusiasta ma un suo collega gli ricorda che da che mondo è mondo si fa il contrario: prima si definiscono le linee politiche della riforma e poi il piano attuativo.

Il Senato cede al potere straripante della lobby militare-industriale ma i giochi non sono affatto conclusi. Ora il provvedimento dovrà andare alla Camera e il dibattito dovrà essere riaperto. C’è spazio per un serio e ragionevole ripensamento.  


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