sabato 23 novembre 2019

Aggressione nel Rojava, la paura di una rivoluzione

L’aggressione nel Rojava non è soltanto una questione geopolitica tra Usa, Turchia, Russia, Siria e Ue: è prima di tutto il tentativo di attaccare il processo iniziato cinque anni fa che ha cambiato le mentalità e le relazioni sociali di quel territorio e parla a tutto il mondo. «Le persone di questo movimento hanno cominciato a riorganizzare tutte le sfere della vita… – racconta Ercan Ayboga, giovane ingegnere ambientale da sempre nel progetto di Confederalismo Democratico in Rojava – Un processo nel quale le donne, auto-organizzandosi… si sono emancipate dall’oppressione e dalla disuguaglianza di trattamento. L’aspetto democratico va inteso così: non come il sistema parlamentare presente in tutto il mondo, ma come un sistema di coinvolgimento diretto; noi diciamo “democrazia radicale”…»

Dopo l’attacco turco contro la regione prevalentemente curda del nord-est della Siria, Ercan Ayboga ci ha parlato delle politiche razziste della Turchia, della democrazia diretta in Rojava e della reazione internazionale.
Angelina Kussy e gli altri membri del collettivo (collettivo AK): Il 9 ottobre il mondo è venuto a conoscenza che la Turchia stava bombardando il Rojava dopo che Donald Trump aveva deciso di ritirare truppe dalla Siria. Puoi spiegare che cosa sta succedendo in Rojava?
Ercan Ayboga: Dal 9 ottobre l’esercito turco ha attaccato una striscia di cinquecento chilometri lungo il confine con la Siria. È appoggiato da migliaia, forse decine di migliaia di mercenari, compreso il cosiddetto “Esercito Siriano Libero” che ha prevalentemente radici in organizzazioni come al-Qaeda e ISIS. Questo attacco è un’invasione illegittima. L’esercito turco e i jihadisti hanno attaccato non solo posizioni militari, ma anche civili con aerei e carri armati. Distruggono ospedali, case, reti elettriche e idrici. È una campagna terroristica.
Civili, assieme alle Forze Democratiche Siriane (SDF) [le SDF combattono per una Siria laica, democratica e decentralizzata] stanno resistendo con quello che hanno, ma non hanno neppure armi antiaeree. Considerate le loro risorse, la resistenza è forte e il massimo di quanto è realizzabile. Dunque, anche se la gente si organizza questa è una lotta iniqua, impari.

Il presidente turco Erdogan dice che sta combattendo contro “terroristi”.
Lo stato turco dice che le forze armate che costituiscono il YPG (Unità Popolari di Difesa) e il YPJ (Unità Femminili di Difesa) che formano parte dello SDF e che negli ultimi cinque anni hanno difeso Kobane, Heseke (Al-Hasakah) e il territorio attorno Aleppo dall’ISIS sono terroristi e che minacciano lo stato turco. È falso. Non hanno attaccato la Turchia nemmeno una volta prima dell’invasione. Le forze di difesa del nord-est della Siria hanno fatto quanto era stato concordato (tra SDF, Turchia e USA all’inizio di agosto 2019) per offrire un meccanismo di “sicurezza” lungo il confine turco-siriano. Per la Turchia ciò non è stato abbastanza, perché il suo piano è di controllare quell’area e di continuare a operare cambiamenti demografici nella regione, come ha fatto ad Afrin.
L’esercito turco ha attaccato Afrin [il cantone più occidentale di Rojava/Siria nord-est] a gennaio 2018, appoggiato dalla Russia che ha dato semaforo verde alla Turchia. È stata una situazione simile. Nonostante una forte resistenza dello SDF, l’esercito turco accanto ai jihadisti ha occupato quell’area. Quando l’esercito turco si è avvicinato alla città di Afrin, lo SDF si è ritirato al fine di prevenire uno spaventoso massacro. L’invasione ha comunque determinato la morte di trecento civili e di mille difensori di Afrin. Nel periodo successivo quasi tutti i curdi hanno lasciato Afrin e quel cambiamento demografico è stato completato quando la Turchia ha introdotto combattenti jihadisti e le loro famiglie. Oggi la stessa cosa sta avvenendo nelle parti occupati del nord-est della Siria. Mentre parliamo stanno attaccando la regione con bombe.

Quale è stato il ruolo degli Stati Uniti in questa invasione turca?
Il 7 ottobre si sono ritirati da posizioni militari a Serekaniye e Tel Abyad (in curdo: Gri Spi) direttamente sul confine con la Turchia. In entrambi i luoghi l’esercito turco e suoi delegati sono ora all’attacco. Non ci sono molti soldati statunitensi nel nord-est della Siria, ma controllano l’aria e dunque [ritirandosi] gli USA hanno dato alla Turchia l’opportunità di attaccarci con l’aviazione. Hanno dato semaforo verde al dittatore.
Non possiamo ignorare il fatto che la politica dello stato turco, non limitata solo al governo attuale, è profondamente razzista e anche islamista. Le persone che in Turchia criticano l’invasione sono sotto pesante attacco. Nazionalisti e islamisti in Turchia temono i curdi a causa dei processi di democrazia diretta che promuovono e delle prospettive politiche che i curdi condividono con altre forze democratiche d’opposizione in Turchia e in Siria. Molti parlano di tradimento perché dopo che i curdi hanno combattuto lo Stato Islamico con il sostegno statunitense, Trump ha aperto la strada alla pulizia etnica turca nella regione.

E Trump, e il resto del mondo, possono far scomparire il pericolo dell’ISIS?
No. Lo SDF è una forza multietnica, principalmente curdi, ma anche arabi, assiri, ceceni, armeni e turcomanni. Sono stati assolutamente cruciali nello sconfiggere l’ISIS quest’anno nella Siria orientale. Senza di loro l’ISIS non avrebbe potuto essere battuto nel medio termine, né dal regime siriano, né dalla coalizione globale guidata dagli Stati Uniti. La minaccia per il mondo intero avrebbe continuato ad aumentare.
Gli Stati Uniti li hanno appoggiati dall’aria e con equipaggiamenti, ma migliaia di membri dello SDF sono morti per questa causa. Ora più di 10.000 membri dell’ISIS sono in carcere, e anche circa 60.000 familiari di membri dell’ISIS. Lo SDF ha chiesto ai governi di tutto il mondo di riprendersi in casa [da queste carceri] i loro cittadini – per la maggior parte non cittadini siriani – e solo pochi l’hanno fatto. Ora, con i bombardamenti turchi, sono fuggiti a centinaia. Possono andare dovunque, riorganizzarsi nel deserto e lanciare attacchi in Europa, Asia, Africa e America. E la Turchia ha appoggiato l’ISIS sin dall’inizio. Membri arrestati dell’ISIS hanno parlato apertamente in varie interviste a proposito della loro collaborazione con la Turchia.

Il Rojava è noto per la sua attuazione della democrazia diretta e della liberazione delle donne. Ciò non è soltanto progressista, tenendo conto dell’oppressione delle donne da parte di molti governi statali autoritari in Medio Oriente, ma persino secondo i parametri occidentali. Puoi spiegare come funziona il “confederalismo democratico”?
La Federazione Democratica del Nord-Est della Siria [comunemente nota come Rojava] è una regione autonoma in Siria che è stata sviluppata in anni recenti. Non è collegata all’esercito siriano, all’opposizione islamista o a qualsiasi altra resistenza reazionaria o antidemocratica. Circa cinque milioni di persone vivevano nella regione; dopo l’invasione circa 300.000 sono già sfollati. È di gran lunga la regione più democratica e pacifica della Siria, sempre aperta a profughi dalla Siria e persino dall’Iraq.
Dall’inizio della guerra [civile siriana] il movimento curdo per la libertà ha cominciato a organizzarsi in Rojava. Ha creato un’amministrazione democratica autonoma nel 2012, poi l’ha riorganizzata all’inizio del 2014. Chiamiamo questo processo una rivoluzione perché ha cominciato a cambiare le mentalità e le relazioni sociali. Le persone di questo movimento hanno cominciato a riorganizzare tutte le sfere della vita: politicamente, culturalmente ed economicamente. Si sono anche arruolate nelle forze armate, il YPG, e hanno creato il YPJ, basato solo su donne, che è diventato famoso quando l’ISIS ha attaccato Kobane nel settembre del 2014.
È stato solo successivamente che i media si sono interessati alla natura di questo movimento in tutte le sfere della vita. Dovunque andassero giornalisti, c’erano donne. Abbiamo una quota di genere del 40 per cento in ogni posizione pubblica e un sistema di alti rappresentanti [uomini e donne] co-presieduto. Questo ha cambiato la mentalità antidemocratica e patriarcale della gente nel corso degli anni. Naturalmente c’era, e rimane, una certa opposizione a questo, ma è limitata.
Questo è stato un processo in cui le donne, auto-organizzandosi e ottenendo voce e protagonismo, si sono emancipate dall’oppressione e dalla disuguaglianza di trattamento. L’aspetto democratico va inteso così: non come il sistema parlamentare presente in tutto il mondo, ma come un sistema di coinvolgimento diretto; noi diciamo “democrazia radicale”. La democrazia è quando la maggioranza della società dibatte e prende decisioni in continuazione. E quel che questo significa è che a livello di base ci sono comuni: fino a duecento famiglie formano una comune e si incontrano regolarmente a fini di coordinamento, organizzando molte cose della loro vita quotidiana, dell’economia, della politica, dell’istruzione, della sanità… Dovunque si vada nel nord-est della Siria si possono trovare circa 4.000 comuni multietniche che organizzano la vita sul campo.
Poi ci sono i consigli popolari a livelli più elevati. Questi sono, diciamo, una combinazione di parlamentarismo e democrazia diretta: 60 per cento eletti e 40 per cento da diversi movimenti e settori sociali e minoranza etnico-religiose. La struttura consente la partecipazione e il coinvolgimento di gruppi e organizzazioni differenti, cosicché la democrazia significa la continua partecipazione di tutti.
Nelle comuni la maggioranza delle decisioni è presa raggiungendo l’unanimità in queste assemblee in modo che tutti abbiano l’opportunità di partecipare, e la maggioranza lo fa. Non tutti, ma la maggioranza.

Isolati dagli Stati Uniti e dall’Europa, siete stati costretti a concludere un accordo con il governo siriano. Su quale genere di cose avete concordato? Il Rojava dovrà rinunciare alla sua autonomia al fine di proteggere la vita della gente?
L’accordo concluso dall’amministrazione autonoma del nord-est della Siria è stato raggiunto in condizioni molto difficili e rischiose, causate dall’invasione turca. C’erano sempre stati dialoghi con il governo centrale siriano. Dal 2017 ci sono stati seri negoziati in cerca di una soluzione politica. Sono stati fatti progressi, ma il governo siriano non era interessato a concludere questo accordo. Naturalmente la sua posizione fa conto sul governo russo, che è la forza principale che mantiene al potere il partito Baath in Siria. La Russia ha moderato i negoziati del passato e anche l’accordo più recente.
L’accordo attuale copre solo aspetti militari e prevede che il governo siriano invierà truppe al confine e in luoghi, come Ain Issa, che sono sotto la minaccia delle truppe turche. Questo accordo non tocca l’autogoverno democratico nei territori liberati. Se il governo siriano è cruciale nel difendere il nord-est della Siria dall’aggressione turca, allora sanno probabilmente conclusi anche accordi su affari interni, comprese la sicurezza locale, la sanità, l’istruzione, l’economia e via dicendo. Al momento è molto difficile da prevedere.
Se il nord-est della Siria riuscirà a difendersi e aumenterà la solidarietà internazionale, allora il governo siriano non sarà in grado di minare la nostra autonomia democratica. Se le truppe siriane nel nord-est della Siria non contribuiranno a fermare l’invasione turca e la Turchia riuscirà a occupare grandi parti del nord-est della Siria in modo criminale, non rimarrà molto da negoziare dell’autogoverno del Rojava. Ma se il governo siriano – e la Russia – sarà cruciale nel fermare l’invasione turca, il governo siriano potrà dominare il contenuto di ulteriori accordi. È rischioso concludere accordi con il governo siriano in condizioni svantaggiate, perché la vecchia mentalità del governo siriano non è cambiata. È autoritario.

Ma il regime siriano è alleato della Russia e la Russia è alleata della Turchia. Potresti spiegare il ruolo della Russia nella regione?
La Russia oggi cerca di trarre vantaggio dalla situazione premendo il nord-est della Siria a concludere accordi con il governo siriano. La Russia e gli Stati Uniti hanno molti interessi geostrategici in Siria e attorno alla Siria nel Medio Oriente, dunque non è qualcosa di collegato solo alla Siria. L’interesse della Russia è innanzitutto mantenere il potere del regime Baath in Siria. Soltanto l’attivo sostegno russo in anni recenti ha consentito al regime di Assad di sopravvivere. Per la Russia non è tanto l’interesse economico a lungo termine, quanto piuttosto la presenza militare sulla costa siriana. Questo le dà una base per perseguire i suoi interessi geostrategici. È anche mirato a contrastare la pressione politica e militare degli USA e dell’Unione Europea sviluppata nell’ultimo o negli ultimi due decenni.
La Russia ha due volti nella guerra siriana, come tutti gli altri stati coinvolti in questo maggiore conflitto del nostro tempo. Tutti sono contro un forte movimento democratico con elementi importanti di democrazia diretta e di liberazione delle donne in Siria e in Medio Oriente. La Russia parla da un lato ai curdi e a tutti gli altri attori del nord-est della Siria dicendo loro che senza i curdi una soluzione politica non è possibile. Dall’altro lato cerca di controllare il nord-est della Siria assieme al governo siriano e all’Iran. Fintanto che i gruppi reazionari armati islamisti erano forti in Siria, il governo siriano e la Russia non volevano che i curdi si indebolissero. Da quando tali gruppi sono stati indeboliti considerevolmente e i curdi hanno avviato alleanze riuscite con gli assiri e specialmente gli arabi nel nord-est della Siria, la situazione è mutata.
Il modo migliore per indebolire l’autogoverno democratico nel nord-est della Siria consiste nel permettere che lo stato turco, che è ossessionato per la distruzione di questo progetto democratico, lo attacchi. Così la Russia ha permesso alla Turchia di attaccare Afrin nel gennaio 2018. Ciò è stato possibile dopo che Russia e Turchia hanno sviluppato una nuova alleanza politica nel 2016, un’alleanza che è economicamente e politicamente molto vantaggiosa per la Russia.
Inoltre – anche questo è cruciale – la Russia vuole allontanare ulteriormente la Turchia dalla NATO e dalla UE e creare contraddizioni in quell’alleanza. Mediante un tale approccio la Russia ha intravisto il potenziale di molti vantaggi e investimenti economici in Turchia. La Turchia compra armi e vende frutta a basso costo alla Russia. La prima centrale nucleare in Turchia è costruita da un’impresa statale russa. C’è una quantità di spazio per affari.

Voi avete ricevuto un grande sostegno internazionale da dimostrazioni in città principali di tutto il mondo. La gente è rimasta toccata da questo crimine di guerra non solo a causa della morte di innocenti, ma anche perché, come dicono, il Rojava rappresenta per loro “il resto della loro speranza nell’umanità”.
Il Rojava è davvero un luogo unico. Nel mezzo della guerra e nella regione di forti conflitti etnici noi avevamo una società pacifica di arabi, turcomanni, turchi e via di seguito che vivevano insieme. Una società ecologica che si sforza di non dipendere dal petrolio e di resuscitare la natura e la sua biodiversità. La gente si è gettata in progetti con piante, semi, parchi, per rendere di nuovo verde il Rojava. Col tempo la gente di tutta la Siria ha cominciato a capire che questo non è ciò che il governo vuole. Non è una questione di nazionalismo curdo. Questo è realmente un modo diverso di organizzare la società.
Perché noi non diciamo “vogliamo uno stato nostro”, ma che vogliamo una nuova, democratica Siria: non nazionalista, federativa, decentralizzata, con una nuova costituzione. Persone di tutta la Siria e di tutto il mondo, decine di migliaia di persone, sono venute a vedere da sé. Migliaia sono rimaste per mesi. Si sente parlare di [volontari internazionali] che combattono e difendono il Rojava, ma molti di più hanno aderito a processi politico-sociali, poi sono tornati a casa e hanno informato il loro popolo di quello che accade nel Rojava.
La società è organizzata in un modo diverso – democratico, partecipativo – e questa non è solo l’alternativa rispetto alla Siria e al Medio Oriente. Ha il potenziale di creare un nuovo paradigma democratico. È per questo che parliamo della rivoluzione democratica. La maggior parte degli stati non la vuole, naturalmente, perché la considerano una minaccia. Ma dovunque la gente dovrebbe dire “questo è ciò che realmente vogliamo” e imporre pressione ai propri governi. È difficile, perché gli stati diventano così ostili. Migliaia di persone sono venute dall’Europa, eccitate nel vedere che un’alternativa è realmente realizzabile. È per questo che abbiamo ricevuto tanto sostegno internazionale, ma sempre dalle persone, non dai governi.

Che cosa pensi della reazione dell’Europa? Francia, Germania, Norvegia e Finlandia hanno smesso di inviare armi alla Turchia e stanno parlando di sanzioni. Pensi sia sufficiente? Che cosa pensi della loro reazione? Che cos’altro dovrebbe essere fatto?
La Turchia ha detto: “Se criticate la nostra invasione noi apriremo le porte e arriveranno 3,6 milioni di siriani”. In tal modo la critica è zittita. La UE sta negoziando con la Turchia se rinnovare o cancellare l’accordo sui rifugiati [col quale la Turchia impedisce loro di arrivare in Europa]. La paura è grande tra i governi dell’Europa. Nel medio termine la UE dovrebbe premere sulla Turchia perché cambi le sue politiche sui curdi e sui democratici, perché trovi una soluzione a questo conflitto. Questo è il solo modo reale: che l’Unione Europea imponga pressione allo stato turco perché trovi una via di pace con in curdi in Turchia e in Siria.
La prima cosa che la UE dovrebbe fare è, naturalmente, non vendere più armi e usare sanzioni economiche. L’Unione Europea ha un mucchio di potere economico in Turchia e la Turchia non resisterebbe per più di pochi mesi a sanzioni reali. La UE ha questa opportunità, ma non la usa. Non si preoccupa della democrazia in Turchia e in Siria. Guarda solo ai propri stretti interessi. Ma ci sono molti democratici in Europa che dovrebbero far sentire la propria voce e premere sui governi.
Le reazioni governative sono state molto deboli: dichiarazione di condanna dell’invasione non parlano di invasione e di crimini di guerra. Parlano di “preoccupazioni”, quali più profughi, la crescente influenza della Russia e dell’Iran in Siria e dei membri dell’ISIS che evadono.
Smettere di vendere armi alla Turchia non è molto efficace; solitamente tali pause durano solo alcuni mesi e la Turchia ha un arsenale sufficiente per molti anni di guerra. Se la UE decidesse di attuare un embargo generale della vendita delle armi per lungo tempo, ciò trasmetterebbe certamente un segnale. Tuttavia sono necessarie sanzioni economiche. Il 55 per cento degli affari della Turchia è perfezionato con la UE. La Turchia è in una crisi economica e vulnerabile.
Noi interpretiamo [l’assenza di sanzioni] in questo modo: i governi vogliono presentarsi al proprio pubblico come protagonisti politici che erano contro questa guerra criminale, ma il fatto è che non l’hanno impedita quando potevano.
Movimenti sociali, ONG e partiti politici dovrebbero chiedere un completo embargo alla vendita di armi, accoppiato a efficaci sanzioni economiche contro la Turchia, e continuare a dimostrare per questo. Questa guerra può continuare a lungo, e la solidarietà è necessaria per il popolo del nord-est della Siria e ha una reale possibilità di fermare l’invasione dello stato turco. Un grande movimento contro la guerra in tutto il mondo è cruciale nei giorni e settimane a venire. La Turchia non è solo una minaccia per i curdi. Lo stato turco è la maggiore minaccia a movimenti democratici dell’intero Medio Oriente, perché i curdi sono il motore della democrazia in Turchia e in Siria.
E l’ISIS è una minaccia per il mondo intero, compresi Europa e Stati Uniti. L’Europa deve fare di più per comprendere la situazione e agire nell’interesse di tutti noi che lottiamo per la democrazia, la libertà e la liberazione delle donne, per l’ecologia, per la democrazia diretta e contro il nazionalismo. È importante che siamo solidali tra noi in un mondo, oggi, in cui regime e movimenti autoritari sono così forti.
Ercan Ayboga
ingegnere ambientale e attivista, fa parte del progetto di Confederalismo Democratico in Rojava.
Coautore del libro Revolution in Rojava. Democratic Autonomy and Women’s Liberation in Syrian Kurdistan (Pluto Press, 2016)
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Traduzione (© 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3)
di Giuseppe Volpe per znetitaly.org. Fonte: zcomm.org, originale openDemocracy.


giovedì 21 novembre 2019

[El Salvador] la violenza sulle bambine non può più restare impunita

Negli ultimi anni El Salvador è stato un paese soddisfatto. E non perché tutto vada bene. Al contrario: soddisfatto perché, quando tutto va male, nella sconfitta resta poco da fare. Dopo la guerra civile ha vinto più volte il triste titolo di paese con più omicidi del continente.
È un paese di appena 6,5 milioni di abitanti che permette che, in media, ogni mese due donne muoiano per mano del loro partner e che ignora le statistiche che parlano di 12 denunce per delitti sessuali al giorno. Però, nelle ultime settimane, questo paese soddisfatto e sconfitto dalla violenza non ha accettato una cosa: non ha accettato che un tribunale stabilisse che toccare la vagina di una bambina di dieci anni, da sopra i vestiti, non fosse un crimine.
Per quanti di noi sono nati dopo gli accordi di pace del 1992, la protesta in piazza non è mai stata davvero una strada per mostrare la propria insoddisfazione di cittadini. Almeno non da un punto di vista generazionale. Siamo cresciuti con madri che facevano la lista dei morti e ricordavano il rumore delle pallottole negli anni ottanta, quando migliaia di salvadoregni sono scesi in piazza per protestare contro la repressione statale.


La paura sussurrata
Senza che i traumi della guerra fossero stati risolti, quanti di noi sono nati dopo la guerra e nei quartieri operai hanno imparato a tacere per altre cose. A insegnarci il silenzio, negli ultimi decenni, sono state le gang. Gli ordini sono scritti nei vicoli e nelle strade di un’infinita di comunità che queste controllano: “Ver, oir y callar” (Vedere, ascoltare, tacere) è sempre stato il presupposto.
E in generale il compito è stato portato a termine. Quando le famiglie salvadoregne parlano delle gang, non le chiamano così. Si parla dei “muchachos” (i ragazzi). Quando qualcuno, all’interno di una comunità, si azzarda a raccontare l’ultima estorsione o l’ultima violenza fisica inflitta dai “ragazzi”, lo dice a bassa voce, sussurrando. La paura trasforma le proteste in mormorii e silenzi. Nel Salvador una marcia contro gli omicidi commessi dalle gang Mara Salvatrucha o Barrio 18 sarebbe impensabile. La gente ha imparato che dare voce al malcontento può costare la vita. 

La settimana scorsa il silenzio generalizzato nei confronti della violenza ha cominciato a cedere. Perché il muro di silenzio relativo agli abusi sessuali è stato scalfito. Nei tribunali salvadoregni solo una denuncia su dieci per abusi sui minori porta a una condanna. Il 90 per cento delle denunce si conclude con l’impunità. Però lo scorso 4 novembre, centinaia di persone sono scese in piazza con una parola d’ordine: “Toccare una bambina è un crimine”.
Questa massa di persone arrabbiate ha cominciato a scendere in piazza a febbraio, dopo che Eduardo Jaime Escalante, un magistrato, era arrivato con la sua auto in un quartiere operaio e, secondo le accuse del procuratore, aveva toccato la vagina di una bambina di dieci anni che giocava con un suo coetaneo.
L’uomo era fuggito a piedi quando alcuni familiari della bambina lo avevano sorpreso, lasciando però la sua auto sul posto. Così sono riusciti a identificarlo. L’uomo è stato accusato di aggressione sessuale contro minore, un delitto passibile di una pena tra otto e 12 anni di carcere. Ma la commissione che si occupa del caso, composta da due magistrati, ha concluso la settimana scorsa che la condotta di cui è accusato il loro collega è, al massimo, un’infrazione punibile con una multa compresa tra dieci e trenta giorni di salario.
Il verdetto è caduto come acqua bollente su persone abituate a disinteressarsi dei problemi altrui. Scottandole. E il paese centroamericano, che normalmente accetta la violenza nelle sue espressioni più estreme, ha detto basta.
Una donna che possiede una flotta di 25 taxi ha invitato tutti i suoi autisti a scrivere “Toccare una bambina è un crimine” sui parabrezza di tutti i veicoli. Cartelli con la stessa frase sono circolati in città e il presidente della repubblica ha fatto sua questa causa pubblicando dei tweet sull’argomento. Il movimento femminista si è assicurato che il caso non fosse sfruttato dai politici per i loro interessi. In una società che per decenni ha taciuto comincia una mobilitazione in difesa delle bambine e delle donne. 

Non dimenticare
Nel 1999, quando Katya Miranda, una bambina di nove anni, fu violentata e assassinata in una fattoria di famiglia, non ci fu una protesta che dicesse agli aggressori: siamo qui e vi controlliamo.
Il suo caso si trasformò in un simbolo dell’impunità con la quale in Salvador si palpeggiano, si violentano e si uccidono le bambine. Nel 2013, quando Ana Elizabeth Chicas, una giovane di 18 anni, fu assassinata dal suo ex partner, non ci fu nessuno che si mobilitò per difenderla, neppure nelle strade del suo polveroso villaggio nel dipartimento di Usulután, nell’est del paese. Nel 2016, quando Karen e Andrea, di 12 e 14 anni, sono scomparse a Cojutepeque, non c’è stata alcuna mobilitazione per ritrovarle. Al di fuori delle organizzazioni e dei movimenti femministi, la violenza contro le donne si è ridotta, nel migliore dei casi, a qualche hashtag sui social network.
Il triangolo settentrionale dell’America Centrale è una regione troppo abituata alla violenza. Lo strumento per eccellenza con cui misuriamo il fallimento, o il successo, delle politiche pubbliche che la combattono è stata la riduzione del numero dei morti ogni giorno. Quando si parla di violenza si pensa alle gang, agli scontri con la polizia, ai cimiteri clandestini. Pensiamo poco alle bambine e alle donne violentate, molestate e umiliate.
La commissione che si occupa del caso del magistrato Escalante, per esempio, secondo il verdetto non ritiene che prendere una bambina di dieci anni per le spalle e poi abbassare la mano fino ai suoi genitali sia di per sé un atto violento. Non ci sono state pallottole, urla, sangue o spari. Solo una bambina sconvolta. 
Oppure, poiché il fatto è avvenuto rapidamente e al di sopra dei vestiti, i magistrati hanno concluso che esso costituisse un “contatto impudico”. Ai sensi della legge, questo tipo di contatto avviene quando qualcuno approfitta della “distrazione” di una vittima che transita in un qualche luogo pubblico per toccarla. Sembra che il messaggio sia che sono le bambine a non doversi distrarre, a restare all’erta casomai apparisse un uomo in giacca e cravatta che tocchi la loro vagina.  

Le proteste di questa settimana sono una piccola conquista per un paese tollerante nei confronti delle intimidazioni, delle aggressioni e delle violenza. Solo nel 2018 la polizia ha ricevuto 4.304 denunce di violenza sessuale, e tutti sono d’accordo sul fatto che una tale cifra sia un’approssimazione per difetto rispetto alla realtà. Anche se la recente manifestazione spalanca la porta a un movimento sociale che reclama giustizia per le donne, è una risposta che arriva tardi.
Nessuna marcia permetterà alla bambina di dieci anni di poter nuovamente uscire a giocare senza paura, nessuna protesta ridarà la vita a Katya Miranda, ad Ana Elizabeth né a Karen e Andrea. Però è stato confortante vedere che per un momento questa società, che puzza di marcio per i tanti cadaveri che nasconde, abbia dato l’impressione di avere ancora senso della giustizia.




mercoledì 20 novembre 2019

[IRAN] iranprotests


"Io sono viva e sto abbastanza bene.
È da sabato che non esco di casa (non mia ovviamente, sto altrove in questo periodo) perché hanno già arrestato tutti i miei ex colleghi e ex compagni di galera con la scusa di aver partecipato alle proteste di questi giorni in Iran anche se tanti di loro sono usciti di casa solo ed esclusivamente per fare una spesa veloce o per accompagnare i figli a scuola
Sono stati arrestati 74 dei miei amici e conoscenti, colleghi o solo amici dei social.
Sono stati uccise più di 310 persone negli ultimi 3 giorni qui (Amnesty dice 106, numeri aggiornati a domenica).
Net Blocks dice che l'accesso a internet in Iran è diminuito al 5%. Io sono riuscita a collegarmi stasera usando un vpn governativo grazie a un amico che lavora al governo ma ha i miei stessi pensieri (cmq per prudenza scrivo solo questo post e solo per pochi amici che potranno leggerlo; quindi mi raccomando non condividete in chiaro, per favore!).

Qui la situazione è grave. Sparano sulla gente senza problemi e i giovani cadono come foglie d'autunno per le strade di questo paese ma dal loro sangue versato ingiustamente nascono mille fiori di speranza e resistenza nei nostri cuori. Lottiamo tutti per la nostra libertà e per una vita degna da vivere. Abbiamo bisogno anche del vostro aiuto e della vostra attenzione...
Noi qui siamo bloccati. Siamo in una grande prigione. Siate la nostra voce. Per favore parlate delle proteste in Iran. Chiedete informazione ai vostri siti di News. Commentate. Seguite l'hashtag #iranprotests per sapere le ultime notizie dell'Iran."


domenica 17 novembre 2019

...mentre incendiano il locale della famiglia Impastato

"Io la mafia non l'ho mai vista come una piovra, per me la mafia è una pantera: agile, feroce, vigile". Era l'ultima intervista, e Giovanni Falcone, a Roma, parlava così di quella Cosa nostra che aveva già predisposto tutto e l'aspettava a Capaci.
Restando all'idea di Falcone, potremmo dire che la mafia, come la pantera, se ne sta sempre ben nascosta, quasi irraggiungibile, di tanto in tanto se ne trovano le tracce, si raccolgono i resti di chi resta vittima dei suoi artigli, raramente esce allo scoperto, a volte lo fa per una zampata. Come l'altra notte, con l'incendio alla pizzeria della famiglia di Peppino Impastato.
Nella logica di Cosa nostra quella zampata, al di là del valore oggettivo, al di là dei danni, che comunque compromettono l'attività, ha un valore simbolico che va oltre il risultato della zampata. Peppino è vivo, il suo ricordo è un'arma che forse la stessa mafia aveva sottovalutato. Generazioni nuove, che non c'erano ancora al tempo di quel delitto camuffato, sanno chi fu Peppino, e in chiave contemporanea fanno quello che seppe fare Impastato contro quella Cosa nostra che aveva conosciuto nell'interno di famiglia. Cento passi non lo spaventarono, i cento passi che lo dividevano dalla casa di don Tano Badalamenti, cento passi non spaventano i tanti giovani della meglio gioventù dell'Isola che, spesso isolati, non raccontati, fanno dell'impegno civile contro l'illegalità il senso pieno della loro testimonianza. L'attentato alla pizzeria degli Impastato non a caso arriva poco tempo dopo la decisione, attesa da troppo tempo, di recuperare e rendere fruibile il casolare dove Peppino Impastato fu ucciso.
Eliminato da più mani, che tentarono di farlo apparire un terrorista caduto sul "lavoro". Ma contro la mafia e il malaffare Peppino non usava esplosivo ma esplosive parole di denuncia. Era il 9 maggio del'78, il corpo dilaniato di Peppino fu trovato alle prime ore del mattino dai macchinisti di un treno in transito lungo la linea Trapani-Palermo. Il binario tranciato di netto, Peppino smembrato.
A pezzi restituito alla madre Felicia. Trapani-Palermo, un treno che ritorna questa mattina nell'indagine che ha portato ad altri mafiosi riconducibili a Matteo Messina Denaro, irraggiungibile dal giugno del'93. Uno degli arrestati di questa mattina, andato a vivere a Bologna, parla di Messina Denaro che si sposta in treno, in uno di quei lenti treni con i quali convive la Sicilia. Messina Denaro che magari sale nel Trapani-Palermo delle 5.45 e che passa proprio davanti al casolare di Impastato, e poi davanti al tratto di autostrada di Capaci, con la stele che ricorda Giovanni Falcone. Dietro gli arresti di questa mattina, tanta droga, tra Marocco, Spagna e Italia. Dietro gli arresti di questa mattina, l'immancabile ombra della massoneria. L'anziano avvocato radiato per mafia e droga, arrestato a Bologna, era armato di cappuccio e grembiulino. Come tantissimi mafiosi, come tanti, preziosi fiancheggiatori e complici.
Tutti a cerchio attorno al superlatitante, a fargli da scudo, a foraggiarlo, a dividere con lui piccoli, grandi bocconi di ricchezze smisurate. E mentre si muovevano queste cose, la cronaca ci ha appena dato le immagini parziali della storica aula del maxiprocesso: entra un signore in doppiopetto e camicia nera, chiede di non essere ripreso, siede davanti alla corte solo il tempo di dire che non ha intenzione di rispondere.
L'uomo in doppiopetto era stato citato dalla difesa dell'uomo che più gli fu vicino nella buona e nella cattiva sorte. Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi. Ma questa è un'altra storia, e il silenzio dell'uomo in doppiopetto potrebbe aprire un capitolo nuovo. 



In Rai, Vicedirettore del Giornale Radio e del Tg3, dove ha curato Primo Piano, approfondimento della sera del telegiornale. In precedenza, curatore di Mediterraneo, il settimanale televisivo internazionale realizzato a Palermo con France3 e altre tv europee. E'stato nella redazione di Sergio Zavoli per l'inchiesta a puntate "Viaggio nel Sud" ed ha firmato per il Tg3 "RT-Rotocalco" il settimanale che ha segnato il ritorno in Rai di Enzo Biagi, dopo il cosiddetto "Editto bulgaro".
Agli inizi degli anni'90, in Sicilia, ha diretto "Suddovest", periodico che fu protagonista di una importante stagione politica e culturale dell'Isola.

giovedì 14 novembre 2019

Peppino Impastato, voce e scritti

Nella notte del 9 maggio del 1978, il corpo senza vita di Peppino Impastato fu abbandonato sulla linea ferroviaria di Cinisi. Un assassinio che passò quasi inosservato alla stampa nazionale, perché nel frattempo si consumava un altro delitto: quello di Aldo Moro. Oggi non c'è italiano che non conosca la sua storia. Il rifiuto di seguire le orme del padre e della sua famiglia nel mondo asfittico della mafia, l'impegno politico e l'attivismo culturale e radiofonico su Radio Aut, la stazione in cui per due anni (dal 1976 alla morte) denunciò i traffici di droga della mafia locale e ne sbeffeggiò i capi. 

La cultura ha assorbito da anni la grande lezione di Peppino, ed è difficile trovare qualcuno che non abbia cantato o abbia ballato sulle note della canzone che gli hanno dedicato i Modena City Ramblers (nell'album ¡Viva la vida, muera la muerte!, 2004) o che non abbia mai visto la splendida interpretazione di Luigi Lo Cascio nel film "I cento passi" (regia di Marco Tullio Giordana, 2000) - ormai un culto, riproposto continuamente nelle scuole per coltivare memoria e impegno.

Ma Peppino Impastato non era soltanto un intellettuale impegnato; possedeva anche un'innata sensibilità, che riversò in poesie di rara bellezza. Per la profonda corporeità della parola e dei simboli, immersi in una sintassi elementare, queste poesie ricordano i versi di Cesare Pavese. Sembra di avvicinarsi al nucleo pulsante di una verità che ha insieme le fattezze di un uomo e di un fiore, e possiede una grazia mortale...


E venne da noi un adolescente
dagli occhi trasparenti
e dalle labra carnose,
alla nostra giovinezza
consunta nel paese e nei bordelli.
Non disse una sola parola
nè fece gesto alcuno:
questo suo silenzio
e questa sua immobilità
hanno aperto una ferita mortale
nella nostra consunta giovinezza.
Nessuno ci vendicherà:
la nostra pena non ha testimoni.