venerdì 2 aprile 2004

AlReves: America Latina


L’offensiva neoliberista in America Latina

Fino alla metà degli anni novanta, il panorama politico latinoamericano evidenziava ancora un netto predominio delle forze liberiste. Dopo la sconfitta finale del “socialismo reale” e di tutte le esperienze politico-istituzionali legate a quella sfera, la dottrina economica dei “Chicago Boys” (gli economisti dell’Università di Chicago, artefici del dogma del “Libero Mercato”) andava affermandosi in tutto il mondo senza trovare ostacoli. A partire dagli anni ‘80, l’inoculazione in massicce dosi di quel programma neoconservatore vide come paesi capofila gli Stati Uniti di Reagan e la Gran Bretagna della Tatcher e, a seguire, tutti gli altri Stati - europei e non -  “dipendenti” dal modello economico occidentale.
Nell’America Latina, due dittature militari su tutte hanno rappresentato l’avanguardia del neoliberismo con forti legami con la “scuola di pensiero” nordamericana: quella argentina (1976-1983) e quella cilena (1973-1990). Quindi, lentamente ma implacabilmente, il “nuovo” ordine liberista andava sostituendosi alle vecchie politiche keynesiane degli anni ‘50-‘60 (caratterizzate dall’egemonia dello Stato nella gestione dell’economia nazionale), favorito dalle pressioni esercitate sui governi da organismi multilaterali come il Fmi, la Banca Mondiale, gli accordi del Gatt e il Wto.
Gli effetti socioeconomici più nefasti determinati dall’applicazione di tali politiche furono - e, disgraziatamente, continuano ad essere - principalmente quattro:
- Aumento rilevante della disoccupazione, a causa della “deregulation” e dei processi di ristrutturazione aziendale nel campo dell’impresa pubblica e privata;
- Flessibilizzazione e precarizzazione del mondo del lavoro, con conseguente perdita di garanzie e diritti sindacali per i lavoratori;
- Destrutturazione ed impoverimento del Welfare, per effetto dei tagli alla spesa pubblica nel settore dei servizi (trasporti, scuola, energia), della previdenza e dell’assistenza sociale;
- Privatizzazioni selvagge e scriteriate estese a settori “strategici” delle economie nazionali (come industria pesante ed aziende energetiche) o alla sanità. 
Evidentemente, questa riconfigurazione del mondo non è avvenuta senza resistenze ed opposizioni da parte delle popolazioni coinvolte. Una nuova fase del protagonismo popolare cominciò con l’insurrezione zapatista del 1994, la quale si caratterizzò - almeno nella sua fase iniziale - più come fenomeno locale che come avanguardia del risveglio dei movimenti sociali d’opposizione al liberismo. Nella sfera istituzionale seguì poi l’elezione di Chavez in Venezuela; “il suo impegno contro le strutture politiche tradizionali, costruite in mezzo secolo di accordi tra le classi dominanti e la corruzione statale” servì a confermare che qualcosa di nuovo stava finalmente accadendo.
“Nel gennaio del 1999 il Plan Real entrò in crisi in Brasile e portò con sé i suoi vicini del Cono Sur  - tutti già contaminati dall’instabilità finanziaria internazionale precedente. Con diverse caratteristiche, forti manifestazioni di rivolta popolare si svolsero in paesi come l’Ecuador (2000), l’Argentina (2001) e la Bolivia (2003) provocando la caduta dei governi che insistevano nell’applicare le dure ricette neoliberiste del “consenso di Washington” e del Fmi”.*
Parallelamente a questi eventi, altre mobilitazioni indigene, sindacali e/o popolari ebbero luogo in diversi paesi con l’intento di porre un freno alla privatizzazione dei servizi (come la sanità in Salvador) o delle imprese (come l’elettricità in Perù o in Paraguay); “per impedire lo sfruttamento da parte delle multinazionali dei beni pubblici (come l’acqua o il gas in Bolivia), per rivendicare i diritti dei popoli indigeni (in Messico, Ecuador e Bolivia), per protestare contro la fascistizzazione della sfera pubblica (in Colombia), per rivendicare terre per i contadini (in Paraguay e Brasile), per impedire l’applicazione dei trattati di libero commercio o per contrastare il colpo di stato contro un governo che disturba l’imperialismo nordamericano e le classi dominanti locali (in Venezuela)”.*
Nel segno della continuità con i movimenti popolari, a partire dal 2000, diverse consultazioni elettorali assegnarono la vittoria alle sinistre. Il caso più significativo di questa “svolta” è senza dubbio quello del Brasile che vide il trionfo di Lula da Silva, leader carismatico del Pt (Partito dei lavoratori), con il sostegno di una larga coalizione di centro-sinistra comprendente - tra gli altri - anche il movimento dei contadini “Sem Terra”. Fu poi la volta dell’Ecuador di Lucio Gutierrez, appoggiato dagli attivisti indios della Conaie, e dell’affermazione in Bolivia di Evo Morales (candidato del Mas) che, pur perdendo nei confronti del rivale della destra, fece comunque registrare un risultato storico.
Oggi il quadro delle lotte contro il sistema neoliberista appare, nel suo complesso, come un puzzle composto da tante tessere disposte “alla rinfusa”, ognuna di colore diverso e con una propria specificità. Preoccupa l’assenza di una strategia comune - o meglio - di un “cemento ideologico” (rappresentato in passato dai nazionalismi e, in varie forme, dal pensiero marxista) in grado di provvedere all’omogeneizzazione di tali - e tanti - fenomeni alternativi in tutta l’area subcontinentale americana.
E’ pur vero che l’avanzata delle forze progressiste - che in Sudamerica si oppongono, in diversa misura, al disegno statunitense di espansione dell’ALCA (Accordo di Libero Commercio delle Americhe) - ha indotto governi “moderati” come Argentina e Paraguay a schierarsi su posizioni progressiste; ma le prove più impegnative devono essere ancora affrontate.
Aspettando il responso elettorale delle presidenziali in Uruguay (dove possono svilupparsi nuove ed interessanti esperienze), l’unica alternativa praticabile - per ora - si può riassumere in un’unica parola: resistenza.
(Andrea "Chile" Necciai)

 

Note:
* “America Latina: un laboratorio antiliberista” di Gustavo Codas, dirigente della Cut brasiliana e membro della Segreteria Organizzativa del FSM di Porto Alegre.

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