sabato 2 marzo 2013

Messico: desaparecidos, non più fantasmi

Ora è ufficiale: il governo messicano ha riconosciuto l’esistenza di desaparecidos. L’ha fatto sommessamente, pubblicando una lista di 26.121 persone scomparse – secondo i freddi termini burocratici, ¨non localizzabili¨ – durante i sei anni del mandato presidenziale di Felipe Calderón. Un’altra delle conseguenze della guerra senza quartiere alla criminalità organizzata, in particolare ai cartelli della droga, che l’ex presidente messicano aveva scatenato, un conflitto a bassa intensità che ha causato settantamila morti.
Un elenco asciutto, fatto solo di nomi e cognomi, che non spiega le responsabilità delle sparizioni e fino a che punto le autorità vi siano coinvolte, come nemmeno quali di queste sparizioni siano legate al conflitto Stato-narcos e quali ne siano estranee. Per Lía Limón, sottosegretaria del dicastero per i Diritti Umani, si tratta solo di un primo passo ed afferma che nella maggioranza dei casi è stata aperta un’inchiesta per appurare i particolari di ogni singolo episodio. Con l’assenza di dati e di prove il compito rischia di essere di proporzioni titaniche. Attenti però a parlare di desaparecidos: la parola è taciuta, quasi fosse un tabù e si preferiscono funambolismi semantici piuttosto di chiamare le cose con il loro nome.

Solo la settimana scorsa Human Rights Watch aveva denunciato 159 sparizioni forzate dovute ai corpi di sicurezza dello stato, dalla polizia all’esercito, in una polemica conferenza stampa tesa a responsabilizzare l’operato delle forze dell’ordine durante l’amministrazione Calderón. Un’iniziativa che si propone di non dimenticare e di evitare l’impunità, facendo valere in ogni istanza giuridica i diritti delle persone scomparse e dei loro famigliari.
Il direttore dell’ufficio regionale di Human Rights Watch, José Miguel Vivanco, ha assicurato che i casi sono migliaia. L’ambiente denunciato dall’organizzazione per i diritti umani rivela la brutalità degli effettivi militari, le minacce ai famigliari degli scomparsi, l’assenza dello Stato nonchè la connivenza delle forze dell’ordine con le organizzazioni criminali. Un panorama tetro che riporta alla luce fantasmi di epoche che si pensavano ormai passate. "Con Calderón" ha detto Vivanco alla stampa "si è vissuta una negazione assoluta della realtà".
Lía Limón ha confermato che ogni caso verrà analizzato singolarmente come prerogativa della nuova amministrazione del presidente Peña Nieto. L’iniziativa rischia di aprire un solco profondo in un Messico già diviso tra chi ha appoggiato – e continua a farlo – la linea dura di Calderón e quanti ritengono che l’applicazione della giustizia perorata da Peña Nieto sia la strada da seguire per legittimare la linea del PRI tornato a governare il paese.

I casi di violazione dei diritti umani sono gravissimi e sono migliaia. Il Messico ha puntati addosso gli occhi della comunità internazionale che chiede segnali. Il primo, e contundente, potrebbe proprio essere quello di una denuncia penale contro Calderón e i suoi principali collaboratori. Un procedimento simile è già in atto alla Corte Penale Internazionale dell’Aja, dove l’ex presidente è stato denunciato nel novembre 2011. Un documento firmato da 23.000 messicani lo accusa di aver avallato, con la sua politica, 470 casi di tortura chiamando in causa anche l’esercito autore di omicidi, violenze sessuali, torture, sequestri ed esecuzioni extra giudiziarie. Una denuncia questa, che era stata presentata ad un tribunale internazionale per "l’incapacità del sistema giudiziario messicano nel giudicare i crimini di lesa umanità", secondo le dichiarazioni dell’avvocato querelante, Netzai Sandoval.
In cerca di legittimità e di credibilità ora il governo di Peña Nieto apre ai diritti umani. Il compito è quello di sconfiggere l’impunità, a dimostrazione che in Messico lo Stato di diritto può ritrovare attendibilità e riconoscimento internazionale, qualità di cui Peña Nieto ha assoluto bisogno.

Maurizio Campisi
Maurizio Campisi, Lindro.it

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