sabato 13 ottobre 2012

Strade alternative alla crescita

Ampi stralci di un’intervista di Barbara Ciolli a Zygmunt Bauman, pubblicata da Lettere43.it.
A 87 anni, il sociologo che ha descritto le metamorfosi del capitalismo e l’esplodere della società dei consumi gira il mondo senza sosta per lezioni e conferenze. Ma le sue radici sono lì, nella culla del socialismo liberale, nel quale non ha mai smesso di credere. Sulla crisi attuale (…) spiega: «O, come è già successo nella storia, l’umanità cambia rotta e, per sopravvivere, imbocca una strada alternativa alla crescita» oppure, se l’homo consumens non accetterà, con sacrificio, di tornare indietro, «la natura prenderà il sopravvento e sarà la guerra di tutti contro tutti per la redistribuzione delle risorse» (…).
Eppure i politici propongono la via dell’austerity…
È una soluzione a breve termine, che di certo riduce la crescita e tiene molte persone disoccupate.
Come fa allora a risolvere la crisi?
Probabilmente, anche i rimedi a breve termine sarebbero dovuti essere diversi. Io, da sociologo, posso esprimermi solo in una prospettiva a lungo termine.
Per ora, cosa è arrivato a concludere?
Primo, che la crisi era ampiamente prevedibile. Siamo vissuti per oltre 30 anni al di sopra delle nostre possibilità, spendendo soldi non guadagnati. Il collasso del credito era inevitabile.
Colpa del ceto medio vorace?…
Certo che no. Le masse sono state convinte a vivere a credito. Sugli interessi dei loro prestiti, le banche hanno incamerato grandi utili. (…)
C’è chi parla già di ripresa, grazie alle manovre di austerity.
Di questo mezzo secolo di abbondanza pagheranno lo scotto non solo le attuali nuove generazioni. Ma i loro figli e i loro nipoti.
In cosa ha sbagliato la società liquida?
Intanto nel non considerare che c’è un limite naturale al credito. Che quello che si ottiene senza sacrificio oggi, si pagherà necessariamente domani. Poi c’è un secondo aspetto che abbiamo ignorato: la sostenibilità del pianeta. Stiamo già consumando il 50% in più di quanto la Terra possa offrire.
Ma, con la crisi inarrestabile, i consumi si stanno contraendo.
Globalmente, la fame di risorse continua a crescere. Tra 50 anni avremo bisogno di cinque pianeti, per soddisfare i nostri bisogni. È una certezza…. Credevamo che la sola via per essere felici in queste e nelle prossime vite fosse consumare il più possibile. Invece questo sistema sta distruggendo il pianeta e le nostre esistenze individuali.
Come se ne esce?
Per uscirne, dovremmo necessariamente rivedere i nostri stili di vita. Mettere in discussione tutto quello che siamo stati abituati a pensare o a credere, rinunciando a molti comfort. Chi, come le nuove generazioni, non ha mai provato una vita frugale dovrà imparare da zero un modello alternativo. Chi, come me, ha vissuto per 40 anni senza frigorifero, dovrà riabituarsi a minori comodità.
Sta dicendo di rassegnarci ad andare in peggio?
Non in peggio, a cambiare mentalità. Per millenni, le generazioni hanno vissuto senza televisione e non stavano necessariamente peggio. Di certo, sarà difficile disabituarsi ai comfort. Sarà – se accadrà – un processo lungo e doloroso. La sconfitta della politica. O una società nuova o la guerra per le risorse. (…) La politica è impotente, non sa che pesci prendere. Ormai la gente, per frustrazione, vota chi non era al governo al momento del collasso. (…) Ormai la gente ha la certezza che qualsiasi governo non serva a niente. I cittadini hanno perso fiducia nell’élite al comando. E, se vuole la mia personale opinione, penso che abbiano ragione.
Perché?
Da un po’ ormai vado dicendo che i politici non hanno più in mano gli strumenti per governare.
Al momento, siamo in una fase di divorzio tra politica e potere. Il potere è la capacità di fare determinate cose, la politica è la capacità di decidere quali cose devono essere fatte per il Paese. Se 50 anni fa politica e potere erano nelle mani dei governi, oggi il potere è stato globalizzato. Ma la politica no, è nazionale. O, al limite, internazionale. (…)
Prima parlava di rivedere gli stili di vita, costruire un modello di società alternativo.
Non si tratta solo di eliminare i surplus consumistici. Ma di reimparare – o imparare da zero – a essere felici stando nella comunità, coltivare relazioni di vicinato, cooperare (…) In passato, per la maggior parte della storia dell’umanità, gli uomini trovavano soddisfazione, per esempio, nel creare e nello svolgere lavori ben fatti. I sociologi lo chiamano istinto dell’uomo-artigiano.
E se non ci riusciremo, se non ci sarà la volontà di tornare artigiani?
Allora – è la seconda possibilità – la vita sarà ancora più dura. La natura minaccerà la nostra esistenza. E, se anche non soccomberemo, ci saranno guerre sanguinose.
Guerre per le risorse?
Sì, come ha ipotizzato Harald Welzer in Climate wars, a differenza del 1900, le guerre non saranno ideologiche, ma molto materiali. Ci potrebbero essere grosse guerre per la redistribuzione. (…)  I disoccupati europei non sono più neanche potenziali lavoratori. La classe operaia – e più in generale la classe lavoratrice dipendente – sta scomparendo molto velocemente. Come nel 1900 accadde con i contadini. (…)
Eppure lei ha vissuto tempi peggiori: la guerra, i regimi, la discriminazione. È davvero così doloroso vivere oggi?
È sbagliato pensare alla società liquida, come a una società leggera e superficiale. Non ha senso comparare i livelli di felicità di epoche e generazioni diverse. Per sentire la mancanza di qualcosa, devi prima provarne l’esperienza. Si può dire che ogni tempo abbia le proprie gioie e le proprie afflizioni. Ma non che oggi un giovane rimasto senza Facebook soffra meno che a vivere nel Medioevo.
Qual è lo scoglio più duro della crisi attuale?
La deprivazione. Quattro anni fa non sarebbe stato neanche immaginabile perdere la capacità di comprare una casa, di chiedere prestiti…
Con il crollo dei consumi morirà il capitalismo?
Chissà. In passato molti hanno profetizzato la sua fine. Invece, visto che non siamo profeti, quando stava per morire il capitalismo è sempre risorto. (…)
Ora anche il business del credito però sembra arrivato al capolinea.
Il capitalismo è in seria difficoltà e sembra assai improbabile che possa sopravvivere. L’ultima sua metamorfosi è grigia. Ormai il Prodotto interno lordo si regge su un’economia illusoria e intangibile, disconnessa dai problemi genuini della gente, che fa profitti solo spostando moneta (….)

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