mercoledì 11 aprile 2012

siamostatiinvaldisusa #3


siamostatiinvaldisusa#3
TAV, una questione di debiti

Il 9 marzo 2012 il Governo ha pubblicato sul proprio sito istituzionale un documento (http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/TAV/domande_risposte.pdf) con il quale, rispondendo a 14 domande da se stesso formulate, motivava le ragioni per la realizzazione della Torino-Lione.


Il documento ci informa che l’Unione Europea ha finanziato la progettazione e le opere preparatorie nel 2008 per 671 milioni di euro, una cifra di per sé enorme trattandosi solo di valutare la fattibilità tecnica ed economica dell’opera.
Il governo si dimentica però di specificare quali spese esattamente copre il contributo dell’UE: il 50% degli studi di fattibilità e solo il 27% delle opere preliminari (il tunnel geognostico della Maddalena).
Dalle casse franco-italiane dovrebbe uscire un ulteriore miliardo e mezzo entro la fine del 2013 solo per completare la fase preliminare.
A questo finanziamento si aggiunge un ulteriore contributo della Commissione Europea del 2005 pari a 48 milioni di Euro per gli studi preliminari..


Quando il governo parla dei soldi europei sembra riferirsi a risorse generate dal nulla o atterrate in Val di Susa direttamente da Marte. L’Italia è il terzo contributore del bilancio europeo, nel 2011 con 14 miliardi e mezzo di Euro pari a quasi il 15% del totale.


Le stime contenute nel documento secondo le quali la realizzazione delle opere comuni tra Italia e Francia dovrebbe costare 8,2 miliardi di Euro di cui la Commissione verserebbe il 40% (il 15% dei quali sono soldi italiani) sono numeri di mera propaganda.

Il costo dell’alta velocità in Italia è passato da un costo previsto di 9,4 milioni di euro per chilometro nel 1991 a 51, 1 nel 2010 a progetto realizzato.

Inoltre, i finanziamenti a disposizione per le reti di connessione trans-europee non sono così ingenti rispetto al numero di opere da finanziare. Si calcola che circa 31,7 miliardi di Euro saranno a disposizione da parte dell’Unione Europea nel periodo 2014-2020 per finanziare 30 assi prioritari di trasporto in Europa. Ciò vuol dire una media piuttosto bassa per singolo progetto – circa un miliardo di Euro – che non coprirebbe tutto il 40% a cui mirano Monti e gli omologhi d’oltralpe (ossia almeno 3,28 miliardi di cofinanziamento a perdere).


Dunque, dove si prendono i soldi mancanti?
Il professor Monti, che le alchimie finanziarie le conosce bene, lo scorso 19 marzo ha incontrato a Roma il presidente della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) chiedendo di implementare in tempi brevi il nuovo strumento finanziario dei “project bond”.

Si tratta di un nuovo tipo di titoli pensati per convincere gli investitori privati a immobilizzare per periodi lunghi la propria ricchezza ed aiutare a finanziare le grandi opere europee tra cui la TAV, con dei tassi di interesse allettanti e la certezza di essere ripagati.
La vera novità di questi titoli consiste infatti nello scaricare sui cittadini il rischio degli investitori privati. Secondo il diritto, e come il default greco insegna, in caso di insolvenza gli Stati di norma sono ripagati ma non gli investitori privati. Con i project bond i paesi Europei, azionisti della BEI, rinuncerebbero al loro grado di “seniority” e qualora qualcosa andasse storto si prenderebbero l’onere di ripagare gli investitori privati. Ossia se c’è un costo extra, se l’opera ha problemi tecnici, se mancano altri finanziamenti e si ferma, o se succede altro e le società e i governi coinvolti non ripagano i debiti contratti, allora i governi europei metterebbero mano al loro portafoglio generando ulteriore debito pubblico.
Esiste anche una variante “all’italiana” di questi project bond, già menzionata nel decreto “Libera-Italia”, per favorire la realizzazione delle infrastrutture. Infatti Mario Ciaccia, Viceministro con delega alle infrastrutture, sostiene che si possano emettere obbligazioni puramente “privatistiche” che alla fine non generino debito. In breve, il governo sogna che investitori istituzionali (quali fondi pensioni, assicurazioni e banche di investimenti, nonché fondi di private equity) possano non solo acquistare i titoli ma garantirseli direttamente tra di loro. E per le società veicolo dei progetti create si permetterebbero esenzioni agli attuali obblighi di ipoteca che non superino determinate soglie del capitale sociale. Insomma, un effetto leva enorme che ricorda quello del tanto deprecato “sistema bancario ombra”, nonché il rischio di impacchettamenti pericolosi di questi debiti alla “sub-prime”.

E’ utile ricordare che Ciaccia è stato chiamato al ministero da Corrado Passera, suo collega presso il BIIS, la Banca per le infrastrutture e lo sviluppo del gruppo Banca Intesa.
Finito un conflitto di interessi se ne fa un altro.



L’ingegneria finanziaria pensata dal governo italiano somiglia molto alle operazioni di swap sugli interessi del debito pubblico che la Goldman Sachs, allora guidata da Mario Draghi, ha consigliato alla Grecia ed altri paesi una decina di anni fa.
Oggi sappiamo com’è andata a finire.
La storia del liberismo degli ultimi decenni ci insegna che alla fine il debito torna e sono sempre gli Stati a pagare il conto, dove il privato fallisce.
Le grandi opere fanno debito, inevitabilmente, non c’è trucco finanziario che tenga, i professori lo sanno molto bene.

Per una lettura critica delle domande e risposte contenute nel documento del governo si rimanda alla lettura del documento redatto dalla Commissione tecnica della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone in collaborazione con docenti universitari, economisti ed esperti del territorio. (http://ascoltateli.org/images/materiali/analisidocumentogoverno28marzo2012.pdf)









Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.